venerdì 31 ottobre 2014

Aquile imperiali e terrorismo economico: i fondi avvoltoio sono strumenti della politica estera degli Stati Uniti?

Mahdi Darius Nazemroaya Global Research, 26 Ottobre 2014
E’ una coincidenza che i fondi avvoltoi facciano sempre più pressione sull’Argentina che si prepara a sviluppare le seconde più grandi riserve di gas di scisto del mondo? Gli avvoltoi sono strumenti della politica estera?CFK-ONUParanoia o attenzione di Buenos Aires?
Ore dopo che l’ambasciata statunitense a Buenos Aires aveva emesso un avviso di allerta ai cittadini statunitensi presenti o in viaggio per il Paese sudamericano, la presidentessa argentina Cristina Fernandez de Kirchner ha accusato gli Stati Uniti di complottare per rovesciarla o ucciderla. Parlando alla trasmissione televisiva dalla Casa de Gobierno, il 30 settembre, ha spiegato che “se succede qualcosa a me, non guardate al Medio Oriente, guardate a nord“, a Washington DC. Ha detto al popolo argentino di non credere a nulla che il governo degli Stati Uniti dice, respingendo la minaccia del SIIL quale spauracchio degli Stati Uniti. Alle Nazioni Unite era già cautamente sprezzante sulle minacce ISIL contro di lei, quando vi ha parlato il 24 settembre. Ora, però, la Presidentessa Kirchner ha collegato i punti tra la situazione diplomatica con Washington e la minaccia del SIIL verso di lei, affermando che “quando li si vede uscire dalle sedi diplomatiche, farebbero meglio a non venire qui per cercare di spacciare qualche racconto sul ISIS che vuole rintracciarmi per uccidermi”. Invece di chiedere ciò che ha portato Fernandez de Kirchner a fare tali accuse al governo degli Stati Uniti, la questione dovrebbe essere cosa ha portato al deterioramento delle relazioni diplomatiche tra Buenos Aires e Washington. Tale deterioramento ha due dimensioni. In superficie è legato al debito sovrano dell’Argentina, alla sua ristrutturazione e agli hedge fund negli Stati Uniti. L’altra è legata alla politica su petrolio e gas di scisto.
Terrorismo economico e finanziario: in linea con il SIIL?
Di fronte alla sessantanovesima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e alla riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, presieduta dal presidente statunitense Barack Obama, l’Argentina ha sostenuto che il terrorismo non è solo opera di gruppi violenti con le bombe, ma anche di enti e organizzazioni finanziarie che destabilizzano le economie nazionali e impoveriscono intere società con la speculazione e la manipolazione finanziarie. Secondo Cristina Kirchner, “i terroristi non sono solo quelli che lanciano bombe, ma anche coloro che destabilizzano le economie, causando fame, miseria e povertà“. Affrontando la crescente mitologia e fissazione internazionale concernente il SIIL in Siria e in Iraq, l’Argentina ha sostenuto che il terrorismo ha le sue radici alimentate e nutrite da ingiustizia e disparità nel sistema globale. Gruppi come SIIL e al-Qaida sono solo i sintomi di qualcosa di molto più profondo e grave. Respingendo i metodi militari di Washington come improduttivi e illogici, l’Argentina ha dichiarato che per bloccare il circolo vizioso della violenza il mondo deve affrontare alla radice le cause che creano gruppi come il SIIL e condizioni che fanno disperare i popoli. Kirchner ha anche ricordato a Obama e alla delegazione degli Stati Uniti, che raffigurano i gruppi insorti attuali in Siria, che il mondo condanna, come “combattenti per la libertà”. Il punto cruciale della tesi argentina è semplice: il terrorismo è anche economico e finanziario, e tale forma di terrorismo è molto più letale. La distruzione delle economie e la destituzione delle società aprono le porte a una miscela tossica di rabbia, ignoranza e accuse. Perciò Buenos Aires ha sostenuto che i terroristi economici e finanziari che mirano alle economie nazionali devono essere identificati, combattuti e fermati.
Incontrare gli avvoltoi
Non solo l’Argentina s’era indignata il 24 settembre, ma sfidava alle Nazioni Unite le strutture dominanti del sistema globale. Gli argentini erano sconvolti verso gli Stati Uniti ed altri dieci Paesi che avevano votato contro l’istituzione di una formula giuridica universale per affrontare il debito sovrano, pochi giorni prima, il 9 settembre. La presidentessa Kirchner ha deriso le politiche economiche neoliberiste degli istituti di Bretton Woods Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale (FMI), essenzialmente il Washington Consensus. Ha spiegato come i precedenti governi argentini avevano seguito ricette e “condizioni” del FMI, dicendo che la medicina economica del FMI ha rovinato economicamente l’Argentina nel 2001. Allora, chi sono i “terroristi economici e finanziari” condannati dall’Argentina? Parte della risposta è già stata menzionata. L’altra parte ha a che fare con gli hedge fund della NML Capital Ltd. Degli Stati Uniti, che ha sede nelle Isole Cayman, e dell’Aurelio Capital Management. Fin dalla crisi economica nel 2001, Buenos Aires ha rinegoziato i debiti, nel 2005 e nel 2010, attraverso nuovi piani di rimborso e la riduzione dei valori nominali del debito del 70 per cento, circa 13 miliardi di dollari, con il 92,4 per cento dei suoi creditori. Il 7 per cento della minoranza degli obbligazionisti, tuttavia, si tiene fuori e respinge le proposte dell’Argentina. Questi sono hedge fund inglobati dai fondi avvoltoio. Come gli avvoltoi reali circuitano e si aggirano sulle carcasse morenti, tali obbligazionisti colpiscono le economie in difficoltà per trarre vantaggio ed enormi profitti dalla crisi fiscale. Tali hedge fund e fondi private equity predatori operano acquistando debito a sconti stracciati e attendendo ristrettezze e fallimenti. La loro strategia è trarre profitto dai default e amplificarlo massimizzando i rendimenti degli interessi su ciò che gli devono i debitori, o sfruttando i contenziosi citando in giudizio i debitori per importi maggiori di quello che riceverebbero se il debito venisse pagato per intero. E’ nel quadro di tale logica che NML Capital Ltd. ed Aurelio Capital Management hanno rifiutato di accettare qualsiasi swap del debito o accordo con Buenos Aires. Hanno cercato di far deragliare gli argentini e impedirgli di pagare i debiti. Questo è il motivo per cui hanno chiesto il pagamento integrale dei debiti dell’Argentina per un valore nominale di circa 1,33 miliardi di dollari. In ultima analisi, ciò costringerebbe l’Argentina al default incrementandone il debito del 70 per cento. Mentre Kirchner parlava alle Nazioni Unite, Buenos Aires era bloccata nella battaglia legale a New York con gli avvoltoi. Utilizzando il sistema legale degli Stati Uniti, i fondi avvoltoio hanno ottenuto nel 2012 da Thomas Griesa, giudice federale del District Court del Southern District di New York, negli Stati Uniti, una sentenza senza precedenti a loro vantaggio. Griesa aveva ordinato all’Argentina di pagare gli avvoltoi per una somma totale ricalcolata ed irrealistica. L’Argentina ha perso l’appello e la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rifiutato di ascoltare in appello l’Argentina, a giugno. Griesa ha concesso non soltanto i debiti con oltre il 1600 per cento d’interesse su ciò che era dovuto, in cinque anni, ma ha anche impedito a Buenos Aires di effettuare i pagamenti del debito agli altri obbligazionisti, fin quando non ripaga i fondi avvoltoio della somma totale ricalcolata. Secondo gli argentini, la nuova interpretazione giudiziaria di Griesa implica che un Paese sovrano non possa pagare i creditori che hanno accettato lo scambio, a meno che i debiti dello scambio non siano tutti pagati, concedendo difatti condizioni privilegiate ai creditori. Quindi il pagamento di 539 milioni di dollari è congelato dalla Bank of New York Mellon Corporation, decidendo il ricorso legale degli altri obbligazionisti il 15 agosto.
La sentenza della Corte degli Stati Uniti ha molte conseguenze. Nel primo caso, l’Argentina non può soddisfare la scandalosa pretesa di pagare i fondi avvoltoio del capitale più il 1600 per cento degli interessi in cinque anni. In secondo luogo, a causa della clausola “diritti sulle offerte future” prevista nei negoziati con gli altri obbligazionisti, che promettevano migliori condizioni, l’Argentina è stata messa in una situazione difficile dal giudice statunitense. Date le circostanze imposte dai fondi avvoltoio tramite il giudice Griesa, gli altri obbligazionisti hanno il diritto di esigere pagamenti superiori, equivalenti a ciò che i fondi avvoltoi pretendono. In altre parole, i negoziati del 2005 e del 2010 sono stati effettivamente annullati da Griesa con una quantità ingestibile di interessi aggiunti agli altri debiti. Se gli altri obbligazionisti evocano la clausola “diritti su offerte future”, ci sarà una grave crisi economica in Argentina. Standard & Poor ha dichiarato l’Argentina in mora il 30 luglio, dopo che a Buenos Aires è stato impedito di effettuare i pagamenti del debito. Non solo gli investitori sono spaventati e v’è un ridotto accesso dell’Argentina al mercato dei capitali globali, ma la minaccia d’inadempienza, alla fine di ottobre 2014, mette ulteriore pressione su economia e peso argentini.
Petro-politica: il gas di scisto argentino e la connessione Gazprom
Sull’altro aspetto della storia, va notato che l’Argentina è in via di ripresa economica dal 2002. Questo recupero include il riacquisto dal governo delle società nazionali privatizzate. La chiave è la rinazionalizzazione degli Yacimientos Petrolíferos Fiscales (YPF) del 3 marzo 2012. La rinazionalizzazione di YPF ha irritato la Spagna, in quanto la compagnia energetica argentina era stata acquistata dal gruppo petrolifero spagnolo Repsol. Riprendere il controllo di YPF è stato importante perché l’Argentina ha le seconde maggiori riserve di gas shale recuperabili nel mondo, dopo quelle cinesi, e Buenos Aires pensa di diventare esportatore di gas naturale sul mercato globale. La petro-politica e la guerra energetica sono parte dell’equazione. Non è un caso che Cristina Kirchner concluse il suo discorso, durante la discussione sul terrorismo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, voltandosi verso la delegazione degli Stati Uniti e dicendo che il suo Paese ha vasti giacimenti di idrocarburi che potrebbero finire per divenire una maledizione a causa dei problemi che li accompagnano. Kirchner tacitamente diceva che temeva che Washington s’intrometta in Argentina, come ha fatto altrove, per controllarne le risorse energetiche. Va anche notato che la Russia è partner dell’Argentina nel programma per divenire esportatrice di gas naturale. Prima che Kirchner parlasse alle Nazioni Unite, il presidente russo Vladimir Putin aveva visitato l’Argentina durante il suo tour in America Latina. A Buenos Aires annunciava che l’Argentina è un partner strategico di Mosca. Il 12 luglio Mosca e Buenos Aires firmavano importanti accordi commerciali e su energia, informazione e cooperazione militare. Mesi dopo, tramite teleconferenza, Putin e Kirchner inauguravano la trasmissione di RT in spagnolo o RT Actualidad in Argentina, il 9 ottobre; chiaramente sfidando influenza e interferenze degli USA in Argentina. Alcuni giorni dopo l’intervento di Kirchner alle Nazioni Unite, Argentina e Russia firmavano un importante accordo bilaterale energetico, di cooperazione tra Gazprom e YPF per esplorare e sviluppare i giacimenti di gas naturale dell’Argentina. Gazprom aveva già dei legami con l’Argentina, quando stipulò un contratto per esportare il gas naturale russo in Argentina nel 2013.
Fondi avvoltoio come “aquile imperiali”
Gli argentini hanno gridato allo scandalo. Sono sconvolti dalle dichiarazioni degli Stati Uniti sull’Argentina inadempiente e accusano il sistema legale e il governo federale degli Stati Uniti di complicità nel tentativo di destabilizzare economicamente l’Argentina. Dopo aver rifiutato di sottomettersi alle sentenze dei tribunali, l’Argentina ha cercato di negoziare con i fondi avvoltoio nel luglio 2014. Gli argentini infine respinsero il mediatore nominato dal tribunale, Daniel Pollack, come incompetente e fazioso. La situazione di stallo nei negoziati mediati dalla corte, infine ha portato al crollo quando Pollack ha fatto una dichiarazione contro l’Argentina. L’avvocato del governo argentino, Jonathan Blackman, protestò il 30 luglio per la dichiarazione di Pollack sull’Argentina inadempiente, come “nociva e pregiudizievole verso la Repubblica in relazione al mercato ed altre persone, come i gestori dei credit default swap“. Il 1° agosto, il governo argentino ha detto di aver perso fiducia nella mediazione. Dopodiché, Griesa ha impedito all’Argentina di ripagare gli altri debiti e un’udienza di emergenza si svolse a Manhattan l’8 agosto. Durante tutto questo tempo, Buenos Aires aveva chiesto al governo degli Stati Uniti di chiarire che il suo giudice nazionale non può trattare l’indipendenza argentina da ostaggio. Washington non ha fatto nulla. La settimana prima della comparsa della Presidentessa Kirchner alle Nazioni Unite, il suo governo fu irritato quando un funzionario degli USA disse che l’Argentina era in default. L’Argentina vede nel rifiuto del governo degli Stati Uniti d’intervenire una complicità. Il 7 agosto, Buenos Aires ha anche chiesto alla Corte internazionale di giustizia di ascoltare il suo caso contro Washington che consente al sistema legale degli Stati Uniti di violare la sua indipendenza di Stato sovrano. Quando il Congresso Nazionale argentino ha approvato la legge sul pagamento del debito sovrano, l’11 settembre, bypassando il sistema bancario degli Stati Uniti e iniziando a ripagare i propri debiti localmente o in Francia, il giudice Griesa l’ha dichiarato illegale. Dopo che Griesa ha minacciato l’Argentina di oltraggio alla corte, l’ambasciatrice argentina Cecilia Nahon ha inviato al segretario di Stato USA John Kerry una lettera di avvertimento, secondo cui Washington sarebbe stata ritenuta responsabile da Buenos Aires delle conseguenze delle sentenze della corte degli Stati Uniti. I fondi avvoltoio vengono utilizzati per ricattare Buenos Aires, come strumento di pressione degli Stati Uniti. Ciò fu accennato da Kirchner mentre parlava alle Nazioni Unite. Non c’è da stupirsi che la Kirchner alludesse a Washington come sostenitore del terrorismo economico. Più tardi Cristina Kirchner ha parlato in modo più diretto. “Non sono ingenua, non è la mossa isolata di un vecchio giudice di New York“, Kirchner ha anche dichiarato pubblicamente il fiasco. Secondo Kirchner, tali hedge fund “sembrano delle aquile imperiali” che eseguono gli ordini di Washington. I leader mondiali s’incontrano riguardo tale terrorismo e ricatto economico. Perciò il presidente boliviano Evo Morales s’è riferito alle sanzioni degli Stati Uniti contro la Federazione russa come atto di terrorismo economico. E’ chiaro che un intricato gioco si svolge. Lo contesa dell’Argentina con i fondi avvoltoio è utilizzata per fare pressione su Buenos Aires. Comunque gli avvoltoi si comportano come “aquile dell’impero”.
Economic-Terrorism-Vulture-Funds-US-Policy-5Mahdi Darius Nazemroaya è sociologo, pluripremiato autore e analista geopolitico.
Copyright © 2014 Global Research
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

giovedì 30 ottobre 2014

Perchè diffidare delle soluzioni degli economisti

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 L'ostacolo di fronte al quale tutti i monetaristi si sono trovati si basa sull'errore iniziale di non aver definito la moneta come fattispecie giuridica e lo stesso diritto come strumento, come espressione, cioè, di un valore proprio, diverso da quello del bene oggetto del diritto.
Su questo equivoco iniziale si è preteso di giustificare il valore monetario sulla base della riserva, confondendo e spacciando sotto la parvenza di valore creditizio il valore indotto;ossia configurando la moneta stessa, non come misura del valore (e quindi valore della misura, quale è), ma come titolo di credito rappresentativo della riserva.
E’ gran tempo ormai che si esca definitivamente dall'equivoco di spacciare sotto la parvenza di valore creditizio il valore monetario. Per comprendere le differenze fondamentali tra moneta e credito basta muovere dalle seguenti considerazioni:
1) il credito si estingue col pagamento, la moneta continua a circolare dopo ogni transazione, perchè, come ogni unità di misura, è un bene ad utilità ripetuta;
2) nel credito, come in ogni fattispecie giuridica, prima si vuole il precetto normativo e poi lo si manifesta; nella moneta, prima si crea la manifestazione formale, cioè i simboli monetari e poi le si attribuisce il valore all'atto dell'emissione. Chi crea il valore della moneta non è infatti chi la emette, ma chi l'accetta. Come nell'induzione fisica nasce l'energia elettrica con la rotazione degli elettrodi, così  nell'induzione giuridica nasce il valore monetario all'atto dell'emissione, cioè quando inizia la fase dinamica della circolazione della moneta;
3) il valore del credito è causato dalla promessa del debitore, come avviene nella cambiale in cui l'emittente è il debitore. Il valore della moneta è causato dall'accettazione del primo prenditore perchè egli sa, come membro della collettività nazionale,che gli sarà accettata da tutti i partecipi della convenzione monetaria, cioè dalla collettività che crea appunto per questo il valore indotto della moneta;
4) il valore del credito è sottoposto al rischio dell'inadempimento. Il valore monetario è attuale e certo perchè, per l'induzione giuridica, la moneta, pur essendo un bene immateriale, è un bene reale oggetto di diritto di proprietà. Poichè il valore del titolo di credito è causato dalla promessa del debitore, sottoscrivendo il titolo monetario sotto la parvenza di una falsa cambiale, il Governatore della Banca centrale induce la collettività nel falso convincimento che sia lui stesso a creare il valore monetario. In tal modo la Banca centrale, non solo espropria ed indebita la collettività nazionale del suo denaro, ma pone le premesse,come vedremo, per usurpare, tramite la sovranità monetaria, la stessa sovranità politica.
Nella relazione al disegno di legge sul conto intrattenuto dal Tesoro presso la Banca d'Italia varata dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 1993 (atto Senato n. 1089 dell'XI legislatura), è contenuta una preziosa dichiarazione, rara per la sua brevità e per il suo contenuto di verità scandalosa.
«La ratio di queste disposizioni» ( recita la relazione ) «è evidente: garantire la piena indipendenza delle Banche centrali e della Banca centrale europea nella gestione della politica monetaria... In conseguenza non si consente agli esecutivi degli Stati firmatari del trattato di esercitare signoraggio in senso stretto: ovvero di appropriarsi di risorse attraverso l'emissione di quella forma di debito inesigibile che è la moneta inconvertibile a corso legale».
Dunque:
1) esistono delle risorse che non sono di chi se ne appropria, altrimenti sarebbe impossibile
appropriarsene;
2) normalmente non dovrebbe essere consentito a nessuno di «appropriarsi» di risorse altrui e non solamente agli «esecutivi degli Stati firmatari del trattato», mentre invece ciò deve essere consentito solamente alle Banche centrali ed alla Banca centrale europea (che avrebbero così per legge la «licenza di rubare»);
3) l'oggetto del furto dovrebbe consistere in un «debito inesigibile», ossia nelle «false cambiali» delle banconote («lire mille pagabili a vista al portatore». f.to il Governatore della Banca d'Italia) che, come tali, non dovrebbero avere alcun valore. Il valore di un debito è infatti causato dalla sua esigibilità. Ed altro è dire che è inesigibile perché il debitore non «può» pagare, altro è dire (come nel nostro caso ) che è inesigibile perché il debitore (cioe la Banca centrale) ha per legge la garanzia di non pagare. Se fosse vera questa tesi, siccome il debito inesigibile è uno strumento inutile, le Banche centrali non ruberebbero nulla.
Ma se questa tesi fosse vera, per noi dovrebbe essere indifferente avere denaro in tasca o non averlo. Quando poi si conclude con definire il «debito inesigibile» come «moneta inconvertibile» di «corso legale», si esclude che possa essere «debito». La moneta infatti, come bene reale, può essere oggetto di debito (e di credito), non «debito» essa stessa.
Una volta dimostrato che la moneta ha valore indotto causato dalla convenzione sociale, approfittando della circostanza che l'emissione della cambiale è prerogativa del debitore,le Banche centrali apparendo come debitori di false cambiali, si sono arrogate il potere di «esercitare signoraggio» per «appropriarsi di risorse» monetarie, ossia del valore indotto creato dalle collettività nazionali con il risultato di espropriare ed indebitare le collettività nazionali del loro denaro, senza contropartita. E’ questa la «grande usura» intuita da Pound.
Per dare ordine a questo sistema monetario, assurdamente ingiusto ed antisociale, si impone la necessità di colmare, mediante interpretazione autentica, la grave lacuna legislativa denunciata, definendo proprietaria della moneta la collettività dei cittadini. Va con l'occasione messo in rilievo che la legge proposta non tocca minimamente l'autonomia della Banca centrale, perchè è fin troppo evidente che l'autonomia attiene alle competenze funzionali ed al patrimonio costituito dagli edifici e dalle strutture aziendali dell'Istituto; ma la proprietà della moneta è del tutto estranea: per quanto sopra dimostrato essa è dei cittadini e non della Banca Centrale

Giacinto Auriti - 1995
Fonte: http://www.giacintoauriti.eu/notizie/78-perch%C3%A8-diffidare-delle-soluzioni-degli-economisti.html

lunedì 27 ottobre 2014

Conferenza di Montegranaro sulla proprietà monetaria (anche in Streaming)

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 Il 9 novembre 2014 si terrà a Montegranaro, in provincia di Fermo, la conferenza dal titolo "Perché siamo qui?" in cui interverranno alcuni relatori per parlare di proprietà monetaria, creazione del denaro e del debito, finanza ombra, monete complementari e altre soluzioni non monetarie, e infine la teoria del valore indotto e della proprietà della moneta di Giacinto Auriti.

 Il pubblico sara composto da inprenditori, autorita locali, sindacati ed altri soggetti interessati, per un totale di 350 persone.
 Per chi non potesse partecipare fisicamente l'evento sara trasmesso in diretta streaming sul canale di Salvo Mandará all'indirizzo: http://www.salvomandara.it/blog/salvo5-0live/

 Interverranno: Daniele Pace, scrittore e ricercatore indipendente come rappresentante della Scuola di Studi Giuridici e Monetari Giacinto Auriti ccon un intervento dal titolo Cosa è il denaro e cosa è il debito. (Libri di Daniele Pace)

  Dott. Salvatore Tamburro, economista e consulente finanziario con un intervento dal titolo Dalla finanza all'economia reale. (Libri di Salvatore Tamburro)

  Dott. Fabiuccio Maggiore, economista con Monete Complementari ed Economia Locale

 Cosimo Massaro, scrittore con Comprendere cosa è la moneta per consapevolizzare il valore della vita. (Libri di Cosimo Massaro)

  Dott. Domenico Leva, dirigente INPS con Cassa integrazione, da ammortizzatore sociale passivo a investimento sociale salva lavoro

  Dott. Paolo Tanga, ex direttore di Banca d'Italia

 Il convegno si terrà alla sala conferenze del ristorante Villa Bianca, contrada S. Leandra 355, provincia di Fermo, a partire dalle ore 16 qui il promo:

 

Basta con le bufale, le “forbici” non le manda la Germania ma i poteri forti, quelli veri


di Marco Pizzuti

Basta con le mezze verità della controinformazione televisiva da salotto. Anche se non verrò compreso da chi non conosce gli scopi e i programmi a lungo termine di club elitari come il Bildeberg, la Trilateral Commission etc., non riesco più a “digerire” tutti questi luoghi comuni in silenzio. Alle bufale di chi dovrebbe rappresentare la vera protesta quasi preferisco la sana propaganda ufficiale dei Monti, dei Letta e dei Renzi perchè in un certo senso, è meno subdola. E’ da quando è iniziata la crisi finanziaria infatti che sento il pensiero unico dei contestatori incolpare la nazione tedesca delle misure di austerity imposte contro l’Italia e il sud Europa.
Tutti i “tribuni del popolo” che vedo agitarsi in televisione ripetono fino alla nausea (anche se in buona fede) che la colpa della recessione italiana è della Germania quando non c’è niente di più falso. Al pari di Obama e Renzi (grande sostenitore del TTIP), la Merkel si limita solo ad e eseguire le direttive politiche-economiche dettate dall’agenda di poteri forti che non rappresentano una lobby locale della Germania o dell’America ma l’elite finanziaria internazionale che guida il processo di globalizzazione e che controlla tutti gli stati dal loro interno. Forse nessuno si è accorto che questa crisi somiglia molto a una III guerra mondiale dove i conquistatori depredano gli stati e sottomettono le nazioni utilizzando la formidabile arma del debito pubblico. Nel frattempo però i veri responsabili di questa situazione rimangono invisibili alle masse perchè anche i contestatori di piazza fanno il gioco dei poteri forti continuando a mettere le nazioni una contro l’altra. Nel 2008 ad esempio, agli americani venne detto che dietro lo  scoppio della bolla immobiliare si annidavano gli speculatori europei ma quando la crisi si è fatta sentire anche nel vecchio continente, la parte dei cattivi è toccata ai tedeschi.
La gente ha la memoria corta e ha già dimenticato che paesi come la Grecia, la Spagna, l’Irlanda e il Portogallo non sono stati gettati in miseria dalla Germania ma dall’azione sinergica dei fondi speculativi creati a Wall Street, delle pagelle nere stilate delle agenzie di rating private (Moody’S, Fitch, Standard & Poor), dai mercati e dalla troika, tutti strumenti controllati dall’elite finanziaria globale su cui i parlamenti non hanno nessun reale potere d’intervento. Peraltro, anche la Germania sta entrando in recessione dal momento che tra i maggiori acquirenti dei suoi prodotti industriali (ad es. auto ed elettrodomestici) c’è proprio quel sud Europa che l’austerity sta annientando con l’imposizione fiscale più alta del mondo (le tasse eccessive comportano la contrazione della domanda interna). Dopo che i poteri forti avranno finito di spolpare il sud Europa, toccherà al nord Europa (svendita di tutti i beni pubblici e sottomissione del parlamento ad enti finanziari sovranazionali) perchè quando andremo a fare bene i conti sul debito pubblico dello stato tedesco sommato a quello dei suoi lander, inizierà a tremare anche Berlino. E’ solo questione di tempo….Se capisci che la guerra economico-finanziaria non è tra gli stati ma tra chi sta in alto e chi sta in basso, hai già capito quasi tutto……..il resto è una cortina fumogena del circo mediatico….
Chi sta nel pensiero unico…

e chi sta fuori dal coro…

Link: http://www.altrainformazione.it/wp/2014/10/24/basta-con-le-bufale-le-forbici-non-le-manda-la-germania-ma-i-poteri-forti/#sthash.Ayq0XI6u.dpuf

martedì 14 ottobre 2014

Cassa Integrazione: da ammortizzatore sociale passivo ad investimento sociale salva lavoro


Un articolo sulla proposta di riforma della cassa integrazione a zero costi per lo stato, in grado di rilanciare il settore industriale, del Dott. Domenico Leva che sarà presentata alle conferenza di Montegranaro in programma il 9 novembre.

L’opinione pubblica è quotidianamente bombardata su tutti i mezzi di informazione dal dibattito sulle grandi “riforme strutturali” che dovrebbero servire a far ripartire l’economia e contrastare la crescita della disoccupazione. Uno degli strumenti ritenuti più importanti per raggiungere questi obiettivi è l’innovazione, ma troppo spesso questi ragionamenti vanno a cozzare contro la difficoltà a finanziare questo tipo di investimento.
Che la nostra classe politica fosse lontana dalla realtà ce lo ha dimostrato in molte occasioni e, troppo spesso, chi siede in parlamento, ha poca conoscenza dell’apparato di norme che regolamentano l’attività economica e le sue ricadute sociali. Eppure, basterebbe approfondire questi argomenti per scoprire che intervenendo su certi istituti che già esistono si potrebbero ottenere non solo soluzioni efficaci, ma anche immediatamente attuabili, soprattutto dal punto di vista finanziario.
Questo è il caso, ad esempio, della cassa integrazione, della quale il pubblico sente spesso parlare, presentato come uno strumento per “ammorbidire” gli effetti delle crisi aziendali, che grava (ma così non è) sulle finanze pubbliche. Forse è il caso di chiarire le idee ai nostri lettori.
Attualmente la CIGO e la CIGS, ammortizzatori sociali previsti solo in Italia, intervengono rispettivamente per crisi determinata da eventi temporanei (es. mancanza di lavoro, fine commessa ecc.) o straordinari (es. ristrutturazione, riconversione ecc.) ma presentano alcune dinamiche negative per i lavoratori, in quanto comportano una forte contrazione del reddito mensile disponibile (massimo € 800,00 circa) con conseguente riduzione della spesa e dei consumi familiari e, forse ancora più grave, la perdita di professionalità e di dignità in caso di Cassa Integrazione “a zero ore” per lunghi periodi continuativi.
Anche per le aziende le ripercussioni sono significative: perdita di capacità produttiva e di quote di mercato, difficoltà nell’innovazione, nella ricerca e sviluppo e riduzione della competitività
Per la collettività, infine, significa contrazione dei consumi e degli investimenti, ricadute negative sulle attività commerciali e sull’indotto industriale e peggioramento degli indicatori economici quali occupazione e PIL
E’ pertanto necessario e indifferibile “cambiare verso” e riformare la vigente normativa della CIGpassando da mero ammortizzatore sociale di puro assistenzialismo a dinamico motore propulsivo di difesa e sviluppo dell’imprenditoria e dell’occupazione.
Ciò anche in considerazione del fatto che, nonostante il perdurare della crisi, gli ultimi dati per l’anno 2013 stimati dall’INPS prevedevano per CIGO e CIGS (vedi Sintesi bilancio di previsione INPS 2013):
  • Entrate Contributiveal Netto Trasferimenti di Stato: circa 3,763 Miliardi di Euro
  • Uscite per erogazione CIG e contribuzione “figurativa”: circa 3,637 Miliardi di Euro
  • Risorse Residue : circa 126 Milioni di Euro
I benefici economici e gli obiettivi sociali possibili da conseguire con la riforma sarebbero numerosi ma, soprattutto, avendo a disposizione quasi quattro miliardi stanziati già nel bilancio INPS, sarebbe realizzabile in tempi brevissimi.
Si dovrebbe agire tramite una riforma legislativa che consenta all’imprenditore disposto ad investire e convinto nello sviluppo futuro della sua Azienda, la possibilità di utilizzare nella attività produttiva il lavoratore della propria azienda fruitore di CIGO/CIGS ;
Questa riforma dovrebbe Consentire nel contempo all’Impresa di EROGARE al proprio “lavoratore Cassaintegrato” LA SOLA DIFFERENZA tra retribuzione contrattuale e CIGO/CIGS esentandolo dall’obbligo contributivo previdenziale, in quanto nel periodo di fruizione delle prestazioni di integrazione salariale vi è la relativa contribuzione “figurativa” a carico dell’INPS (attualmente la normativa consente l’utilizzo del lavoratore in CIG presso altro datore di lavoro ma lo vieta presso la propria azienda).

Non si tratta di un processo particolarmente complicato, tanto più che vi sono già molti strumenti amministrativi che possono essere utili allo scopo.
  1. L’impresa dovrebbe presentare un piano di investimenti da realizzare nel periodo di CIGO/CIGS (6-12-18 mesi), finalizzato al miglioramento/innovazione di prodotto/processo produttivo e/o di risparmio energetico e/o di riduzione impatto ambientale, ecc.;
  2. L’impresa dovrebbe presentare un piano di mantenimento e/o sviluppo occupazionale e di formazione professionale teorico/pratica, ivi compresa la sicurezza sul lavoro, per lo sviluppo e/o la riqualificazione dei lavoratori in sinergia con Enti Accreditati/Istituti scolastici pubblici superiori/Università e con l’impiego delle risorse dei Fondi Nazionali ed Europei destinati alla Formazione professionale;
  3. Regolamentazione Unificata e semplificata delle procedure autorizzative, sia per l’ammissione alla CIGO/CIGS e alle relative prestazioni che per quelle connesse alla effettiva realizzazione dell’investimento (“burocrazia a impatto zero”).
  4. Tempi predefiniti per la conclusione dell’iter autorizzativo (es. Max 60 gg) e conseguente possibilità di attivazione concreta e immediata dell’investimento produttivo da parte dell’azienda.
  5. Verifica dello stato di crisi e/o di mancanza commesse dell’azienda determinato dal mercato, nel settore produttivo e/o territoriale, sulla base di dati oggettivi relativi all’andamento economico-finanziario e tecnico-produttivo, rilevabili dai bilanci, dal fatturato, dai consumi elettrici, da riscontri bancari e dei bilanci degli ultimi 24 mesi;
  6. Valutazione della congruità del piano di investimento relativamente alla CIGO/CIGS richiesta/autorizzata (confronto/proporzione tra importo-durata investimento e importo-durata CIG erogabile);
  7. Valutazione dell’eventuale possibilità di incremento occupazionale giovanile e/o femminile conseguente all’investimento;
  8. L’iter si conclude con la stipula di un accordo, sulle modalità di impiego dei lavoratori durante la CIG e sullo svolgimento della formazione, sottoscritto dall’Azienda e dalle OO.SS./RSA presso la Commissione ad hoc;
  9. Controllo dell’ENTE preposto (Ministero del lavoro/ INPS/ Altro) e delle OO.SS./RSA, da effettuare periodicamente e al termine del periodo autorizzato, sullo stato e sulla realizzazione del piano di investimento e formazione, con applicazione di eventuali sanzioni consistenti appunto nel recupero totale/parziale della CIG erogata, proporzionato al livello della mancata realizzazione. Escussone della sanzione a mezzo fidejussione presentata a garanzia.
Di fatto la suddetta riforma permette al datore di lavoro di impiegare in azienda i propri lavoratori in costanza di percezione della Integrazione Salariale e dell’accredito della contribuzione figurativa, a carico del “Fondo di Solidarietà”, con evidente riduzione del costo del lavoro e, quindi, del costo di produzione, permettendo all’azienda di recuperare competitività sul mercato durante il periodo dell’investimento e ai lavoratori di conservare il potere d’acquisto. Tutto ciò è finalizzato al concreto rilancio e recupero di competitività e di produttività dell’azienda al termine della effettiva realizzazione dei piani di investimento e formazione e al mantenimento dei livello dei consumi familiari .
La riforma proposta supera anche l’ostacolo di non disattendere la Normativa Europea che vieta aiuti di Stato alle imprese, in quanto la riforma della “nuova” CIGO/CIGS prevede il finanziamento dei Fondi per l’erogazione delle prestazioni esclusivamente con la contribuzione a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori, senza il contributo dello Stato che attinge alla fiscalità generale.
Attualmente il Finanziamento della Cassa Integrazione risulta INTERAMENTE coperto dalla contribuzione a carico delle Aziende e dei Lavoratori dipendenti dell’industria, come evidenziato in premessa;
Con Modifica Normativa di tipo Tecnico-Contabile si può introdurre nell’Ordinamento Previdenziale Italiano “il Fondo di Solidarietà tra Imprese e Lavoratori per la Difesa e lo Sviluppo degli Investimenti e dell’Occupazione” con rimodulazione delle aliquote contributive e contestuale SOPPRESSIONE dell’intervento finanziario dello Stato sui capitoli di spesa di CIGO e CIGS. Tutto ciò può avvenire SENZA AGGRAVIO DI COSTI per Imprese e Lavoratori e con RISPARMI per il Bilancio dello Stato da destinare ad altri interventi.
L’intervento del predetto “Fondo di solidarietà” dovrà essere in prevalenza autorizzato nei casi di perdurante crisi industriale e/o economica; l’attivazione di tali risorse in favore di lavoratori e imprese, pertanto, sarà ammesso senza “regola de minimis” in quanto non essendo “aiuto di Stato” non è in contrasto con le direttive del Trattato di Istituzione della Comunità Economica Europea (CEE) che, all’art. 1, recita testualmente: <<art. 1. Salvo deroghe contemplate dal presente trattato, sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.>>. In particolare con la presente congiuntura economica di crisi, riconosciuta a livello nazionale e internazionale, dovrebbe essere apprezzato anche a livello CEE l’utilizzo di risorse, senza aggravio del Bilancio dello Stato, per sviluppare gli investimenti produttivi e frenare l’emorragia di posti di lavoro e l’incremento vertiginoso della disoccupazione.

Dott. Domenico Leva 

martedì 7 ottobre 2014

Recessioni fatte in casa, o della Tafazzinomics


Il Financial Times segnala che le piccole e medie imprese giapponesi si troverebbero in condizioni congiunturali piuttosto problematiche, e questo avrebbe spinto il governo diShinzo Abe a prendere posizione, con atti amministrativi e l’abituale moral suasion nei confronti delle grandi conglomerate, affinché “diano una mano”. Sono gli effetti collaterali della struttura produttiva di un paese la cui leadership politica era convinta di aver reinventato la ruota.
In pratica, accade questo: l’aumento dell’imposta sulle vendite, dal 5% all’8%, entrato in vigore il primo aprile ad inizio anno fiscale, ha indotto una corsa agli acquisti (soprattutto di beni durevoli) nel primo trimestre solare dell’anno, con relativo mini boom che sta ora venendo puntualmente restituito, con interessi, alla realtà. Dopo un dato di Pil giapponese del trimestre aprile-giugno fortemente negativo (meno 7,1% annualizzato), l’andamento della produzione industriale resta debole, come testimonia anche il calo a sorpresa del dato di agosto.
La struttura dell’economia giapponese vede una miriade di imprese piccole e medie che sono fornitrici (e spesso sono banali terzisti) dei grandi complessi multinazionali. Questo determina una struttura fortemente duale del mercato del lavoro e dei prodotti. In pratica, l’occupazione garantita e le strutture retributive con bonus si concentrano nei grandi gruppi, mentre la flessibilità si scarica sulle piccole e medie imprese, che hanno occupazione in via di ulteriore precarizzazione ed i cui dipendenti difficilmente riescono a vedere qualcosa che ecceda la paga base.
Fatale, date queste premesse, che il potere contrattuale di questi terzisti verso i grandi gruppi tenda ad essere piuttosto limitato. Questo, tra le altre cose, si traduce nella difficoltà a traslare sui committenti i maggiori costi indotti dalla forte svalutazione dello yen, e di conseguenza in una forte compressione dei margini. Ecco quindi che il governo di Tokyo è costretto a correre in soccorso delle piccole e medie imprese che, secondo molti osservatori, starebbero ormai vivendo in condizioni di recessione conclamata. E come si fa a soccorrere le pmi, in Giappone? Sinora, in due modi. Da un lato, le agenzie governative potranno acquistare anche da imprese che non siano state costituite da almeno dieci anni (norma invero piuttosto bizzarra); dall’altro, il governo “invita” le organizzazioni industriali ed i loro associati a consentire ai propri fornitori di traslare i maggiori costi derivanti dal deprezzamento dello yen, che da luglio ha ceduto circa il 7% nominale contro dollaro.
In altri termini, si chiede ai committenti di cedere parte dei propri margini alle piccole e medie imprese boccheggianti, cioè di rinunciare al proprio potere di mercato. Idea certamente molto nobile ed illuminata, nel quadro di “fare sistema” che caratterizza il Giappone, almeno così ci viene detto da sempre. Solo che in tal modo il problema si sposta ancora più a valle, a livello di consumatore finale. Che già di suo è depresso perché al forte aumento dei prezzi al consumo non ha corrisposto l’aumento delle retribuzioni medie (soprattutto nella parte tabellare di base) e men che mai delle pensioni, visto che parliamo di uno dei paesi più anziani del mondo (ricorda qualcuno?). Da qui un circolo vizioso in cui il deprezzamento dello yen causa deterioramento del sentiment dei consumatori e progressivamente anche delle imprese.
Eppure sembrava un’idea così geniale, quella di causare un’inflazione da costi (via deprezzamento del cambio) che doveva trasformarsi in inflazione da domanda e vissero tutti felici e contenti. Vado pazzo per i piani ben riusciti.

UNA DIMENSIONE ECONOMICA SCONOSCIUTA



Premessa
Leggo spesso di dottrine politico - economiche di vario genere che, nelle loro varie sfaccettature si riconducono essenzialmente a tre: il liberismo ( oggi : neoliberismo) dottrina dominante tipico delle ( pseudo) democrazie " pure" ; il comunismo nel quale l'intervento statale e' onnicomprensivo delle vite delle persone ma che può dirsi tramontato ; il socialismo e la socialdemocrazia nella quale fermo restando l'intervento statale nel mondo dell'economia, vengono riconosciute graduali libertà individuali ( minime nel socialismo massime nella socialdemocrazia ).
Il ruolo del keynesismo
A tali dottrine economiche si è' sovente sovrapposta l'opera del Keynesismo classico nel quale allo Stato veniva attribuito un ruolo importante nella risoluzione delle crisi più devastanti : espandere la spesa pubblica nei periodi di crisi , contrarla nei periodi di eccesso di espansione e conseguente aumento dell'inflazione, proprio allo scopo di raffreddare quest'ultima. Pochissimi hanno però evidenziato, e trovo ciò del tutto paradossale, il ruolo strategico svolto dalla moneta. Il liberista Friedman sosteneva che le banche centrali potessero essere sostitute da robot ( tot moneta stampata ogni tot mesi, fine) ma poco altro. Lo stesso Keynes ne parla poco nella sua opera principale ( Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta) se non per sfatare il mito del l'importanza del risparmio, che vedeva come un freno all'economia.
Il punto dolente: la moneta.
NESSUNO HA MAI PARLATO CON LA PROFONDITA' che l'argomento merita, DELL'ORIGINE DEL DEBITO CHE OGGI COINCIDE PARI PARI CON L'ORIGINE DELLA MONETA ma Che sta proprio alla base di tutti i nostri problemi odierni. Ci sta chi ha lottato contro questa tirannia bancaria consolidatasi fin dalla notte dei tempi a scapito dell'autentica libertà dell'uomo. Chi lo ha fatto ha passato i suoi guai... Fatto sta che rimane questo grande Bug delle dottrine economiche perché sottovalutano il ruolo del debito eterno. L'equazione del pil considera vari grandezze economiche ( gli investimenti pubblici e privati i consumi la bilancia commerciale ) ma si guarda bene dal considerare la dimensione debitoria di ogni forma di bene o servizio creato dall'uomo. Perché e' del tutto naturale che se non esiste un cent nella nostra società che non nasca come debito, qualsiasi valore attribuiamo ad un bene o servizio dovremmo sempre metterci un segno - davanti. Dato che appena convertiamo il bene nel suo corrispondente valore monetario il bene stesso diventa nostro debito e credito per la banca ( ordinaria o centrale che sia) ... Persino nella Russia comunista Stalin dovette fin dal 1936 assoggettare la banca centrale alla proprietà esclusiva di banchieri privati (!) ai quali dovette riconoscere la proprietà del rublo. Lo stesso Putin oggi non riesce a fare di meglio anche se la banca centrale russa per quanto soggetta a sostanziale gestione privata non riesce ovviamente a sostenere una speculazione contro gli stessi interessi della nazione russa come ad esempio e' tranquillamente avvenuto in Italia con le banche ordinarie padrone che hanno potuto tranquillamente gettare nella miseria milioni di persone senza di fatto subire pesanti condanne in sede penale.
Cosa potrebbe fare uno Stato realmente sovrano.
Nessuno conosce quindi la dimensione della moneta di proprietà interamente statale. Statale nell'accezione di popolare non politica, naturalmente perché laddove la moneta sia politica poco ne beneficherebbe la gente da un lato e molto potrebbe fare l'elite finanziaria per riappropriarsene con adeguata opera di corruzione. Una dimensione quindi del tutto sconosciuta, nella quale lo Stato potrebbe sostenere qualsiasi spesa nel contesto di qualsiasi delle summenzionate dottrine economiche senza indebitarsi di un cent. Creando esso stesso i mezzi monetari di cui necessità è senza prendere niente in prestito da nessuno. Anzi imponendo a chiunque voglia manovrare mezzi finanziari a prendere da esso i soldi in prestito. Il tutto all'insegna della pubblica trasparenza senza segreti di stato, censure o immunità garantite a banchieri dichiarati irresponsabili e dall'operato insindacabile per legge. Lo Stato potrebbe quindi indirizzare i flussi monetari verso quelle attività per le quali il proprio popolo possegga le migliori capacità per tradurre la moneta in autentica ricchezza reale o in benefici sociali concreti realizzando programmi governativi ben precisi ( lotta al l'inquinamento, protezione del territorio, opere pubbliche, miglioramento dei servizi sociali) . Tutto questo senza generare una sola lira di debito pubblico, con buona pace dei noti parametri di Maastricht che diverrebbero del tutto senza senso ... E senza che l'inflazione o lo spread possano essere di qualsiasi intralcio od ostacolo all'azione politica, essendo nelle mani statali cioè del popolo sovrano il controllo dei flussi monetari, che potrebbero essere contratti o ampliati a seconda delle esigenze contingenti.
Una richiesta agli amici di facebook.
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By ludovico fulci

giovedì 2 ottobre 2014

Come uscire dalla crisi senza uscire dall’euro

"Per rilanciare l’economia lo Stato deve creare nuova moneta – in forma di Certificati di Credito Fiscale – senza passare per le banche e la BCE". La proposta avanzata nel libro “Soluzione per l'euro. 200 Miliardi per rimettere in moto l'economia Italiana” di Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi (Hoepli) è forse la più convincente e praticabile finora suggerita. Vediamo perché.

di Enrico Grazzini 

Come raccogliere l'appello di Luciano Gallino contro la dittatura dell'Unione Europea[1]? Come uscire dalla crisi sfuggendo ai diktat della UE e della BCE che controllano la moneta unica e che soffocano la nostra economia? 

Non vi è alcun dubbio che la dittatura della UE si esprima soprattutto a livello economico nella forma di dittatura dell'euro. La moneta unica infatti impedisce i riallineamenti competitivi (cioè le svalutazioni monetarie dei paesi deboli e le rivalutazioni della moneta di quelli forti) e quindi provoca crescenti squilibri commerciali e debiti con l'estero. A causa dell'euro i paesi creditori, come la Germania e i paesi dell'area del marco (Olanda, Austria, Finlandia, ecc), possono dettare legge e strangolare economicamente i paesi debitori, i cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) a cui bisogna aggiungere la Francia. 

Il drammatico problema politico della dittatura della UE nasce quindi soprattutto (diciamo per l'80%?) dal colossale problema dell'euro che genera squilibri delle bilance dei pagamenti e debiti crescenti. Con l'euro il sogno europeo è diventato un incubo. L'Unione Europea sembra essersi trasformata in un esattore di debiti che opera per conto di un gigantesco usuraio formato dal blocco delle maggiori banche tedesche, francesi e angloamericane. La UE ha anche costruito una Triplice Alleanza con la BCE e il Fondo Monetario Internazionale per riscuotere i debiti, imponendo ai paesi europei più deboli una cieca austerità, tagli selvaggi al costo del lavoro e al welfare. Le politiche della UE e della Troika distruggono occupazione e risorse produttive, e svuotano, come sottolinea Gallino, la democrazia e le sovranità nazionali. 

La UE, in quanto istituzione intergovernativa, è sempre stata in “deficit di democrazia”. Ma oggi è diventata una sorta di dittatura a causa dell'euro, del debito e dell'austerità. Per uscire dalla crisi Joseph Stiglitz e molti altri economisti suggeriscono di rinsaldare l'unità europea mutualizzando almeno parzialmente i debiti, creando gli eurobond, sviluppando un fondo comune per i fallimenti bancari, rilanciando gli investimenti, ecc, ecc[2]. Tutte ricette in teoria giuste ... che però sembrano concretamente impraticabili! 

Purtroppo è ormai assodato che queste misure di rilancio dell'economia europea (del resto già proposte da anni, dall'inizio della crisi) sono impossibili da realizzare per l'opposizione intransigente della Germania e degli altri paesi del nord Europa che non pagheranno mai un solo euro di debito degli altri paesi europei, a costo di uscire dalla UE e di farla fallire. I trattati che fondano la UE e l'euro (e che possono essere modificati solo all'unanimità dai 28 paesi, o 18 per l'euro, che li hanno sottoscritti) sono vincolanti e obbligano i governi nazionali a soffocare la loro economia. Da qui anche la politica di tagli e di distruzione dello Statuto dei Lavoratori da parte del segretario del PD e capo del governo Matteo Renzi. 

Come si fa dunque a uscire dalla trappola del debito se l'Europa è bloccata e se i paesi deboli non hanno più sovranità monetaria e il debito nazionale è espresso in quella valuta straniera chiamata euro? Bisogna ripartire dal livello nazionale e ripristinare un minimo di sovranità. Le analisi e le proposte avanzate nel libro “Soluzione per l'euro. 200 Miliardi per rimettere in moto l'economia Italiana – Creare moneta, ridurre le tasse e rilanciare la domanda” scritto da Marco Cattaneo e da Giovanni Zibordi sono probabilmente le più approfondite ed efficaci finora suggerite per rimettere in moto la disastrata economia italiana [3]. Cattaneo e Zibordi suggeriscono una politica monetaria che è ad un tempo rivoluzionaria e praticabile, originale ma anche relativamente facile da realizzare, perfino da parte del governo Renzi! Propongono una salutare scossa monetaria che però non provocherebbe shock politici internazionali – come l'uscita dall'euro – ma che potrebbe risanare l'economia nazionale dei paesi deboli dell'Europa che stanno precipitando nel sottosviluppo. 

La proposta dei Certificati di Credito Fiscale 

In tutta Europa, e in particolare nei paesi del sud Europa, c'è crisi di domanda e di liquidità. Per uscire dalla trappola della liquidità è necessario creare nuova moneta che arrivi all'economia reale, al mondo del lavoro e delle imprese. Secondo Cattaneo e Zibordi, lo Stato italiano dovrebbe riprendere almeno parte della sua sovranità monetaria confiscata dall'euro grazie ai poteri che gli rimangono nel campo della fiscalità: dovrebbe quindi emettere miliardi di Certificati di Credito Fiscale da far valere dopo un certo periodo di tempo ma con valore immediato come moneta (cioè come mezzo di pagamento). 

L'iniezione di liquidità servirebbe a contrastare l'austerità imposta dalla UE e dal sistema bancario. Infatti le banche – che creano il 95% della moneta in circolazione – hanno smesso di fornire liquidità. Solo la BCE cerca di dare ossigeno alla moribonda economia europea per salvare l'euro e sé stessa: ma la BCE distribuisce soldi solo alle banche. Il problema è che le banche trattengono i denari e li investono in titoli finanziari. In questo contesto è lo stato nazionale che nei paesi più deboli, come l'Italia, dovrebbe intervenire emettendo i CCF, cioè una sorta di buoni sconto fiscali ad uso differito. 

La nuova moneta creata dallo stato per alleviare il peso fiscale dovrebbe arrivare direttamente e gratuitamente al lavoro e alle aziende senza passare dalle banche. Lo shock monetario creerebbe immediatamente nuova domanda senza provocare nuovi debiti e iper-inflazione perché rilancerebbe la produzione e l'occupazione sfruttando tutte le risorse che sono gravemente sottoutilizzate a causa della politica deflattiva dell'euro; e alla fine anche il debito pubblico diventerebbe sostenibile. 

Per l'Italia in particolare Cattaneo e Zibordi propongono una terapia d'urto, ovvero di rilanciare la domanda grazie all'emissione di CCF per 200 miliardi all'anno nel 2015 e nel 2016 in modo che l'economia possa riprendersi dalla crisi verticale in cui è precipitata, pur rimanendo vincolata da un sistema rigido ed iniquo come quello dell'euro. Infatti l'euro è strutturalmente inefficiente e genera inevitabilmente crisi e deflazione: secondo gli autori (e anche per chi scrive) la crisi dell'euro, partita nel 2010, ci sarebbe stata comunque, anche senza l'innesco della crisi dei subprime scoppiata negli USA nel 2008. 

Cattaneo e Zibordi, che si ispirano a J. M. Keynes e ai più avanzati studiosi della moneta e della finanza, hanno bene in mente che la moneta unica tra 18 paesi molto diversi tra loro genera intrinsecamente disastri, e che è la causa di gran lunga prevalente del disastro europeo. L'Italia – come gli altri paesi mediterranei – è tragicamente regredita a causa dell'ingresso nell'eurozona, e la crisi rischia di diventare irreversibile. Purtroppo i problemi monetari e finanziari sono spesso stati sottovalutati dalla sinistra, per scarsa competenza specifica o per le illusioni europeiste. 

L'euro non è – come ha affermato perfino uno dei più autorevoli maître à penser della sinistra, Fausto Bertinotti – solamente la “cornice” di una politica europea liberista e reazionaria. L'euro è invece la causa primaria della crisi europea e italiana ed è lo strumento di gran lunga principale della dominazione dei paesi forti verso i paesi deboli, del capitale finanziario sul lavoro. La moneta e la finanza non sono sovrastrutture dell'economia reale ma costituiscono il cuore del capitalismo speculativo odierno e della dominazione capitalista sull'economia e la società. La sinistra (ma anche la destra) ha molto da imparare dalle proposte di Cattaneo e Zibordi. 

L'euro è il problema: l'attuale crisi monetaria, la crisi dell'euro, va quindi curata come tale, cioè con nuova moneta. Quando la febbre raggiunge i 42 gradi occorre diminuire subito la temperatura senza aspettare di risolvere i malanni che l'hanno provocata. Solo dopo avere abbassato la febbre è possibile cercare di risolvere i “problemi reali”. Attualmente però occorre trovare soluzioni meno dirompenti dell'uscita unilaterale dall'euro. Infatti non è possibile rompere facilmente la gabbia della moneta unica per i duri contraccolpi economici e politici internazionali che la rottura di questa valuta internazionale provocherebbe, e perché l'uscita dall'euro provocherebbe disorientamento e contrasti nell'opinione pubblica. Molti hanno timore di vedere svalutati i loro risparmi ritornando alla lira. Uscire unilateralmente dall'euro non avrebbe comunque automaticamente le stesse conseguenze positive che ebbe nel 1992 l'uscita dell'Italia dal Sistema Monetario Europeo[4]

La soluzione dei CCF progettata da Cattaneo e Zibordi si presenta più morbida ma nello stesso tempo efficace. E sarebbe facilmente accettata dall'opinione pubblica e dalle imprese. Anzi, le imprese e i lavoratori sarebbero molto felici di avere più reddito grazie a strumenti monetari gratuiti di credito fiscale (meno tasse). 

Così come per Keynes la crisi decennale nata nel 1929 era soprattutto una crisi monetaria e il meccanismo poteva ripartire se lo stato si faceva carico dell'espansione monetaria grazie agli investimenti pubblici, anche per Cattaneo e Zibordi la crisi va affrontata innanzitutto a partire dalla (mancanza di) moneta, dalla trappola della liquidità, dalla carenza di domanda e di credito per le imprese. Per rilanciare l'Europa e i paesi del sud, occorre innanzitutto creare nuova moneta e rilanciare la domanda, cioè aumentare innanzitutto i redditi da lavoro. Tutto il contrario di quello che propongono Germania, UE, BCE e Matteo Renzi. 

La crisi attuale è soprattutto crisi monetaria: la trappola della liquidità 

E' dai tempi di Bismarck che l'Italia ha un gap di competitività verso la Germania e tuttavia la crisi verticale dell'Italia è scoppiata solo a partire dalla crisi dell'euro. In effetti da quando è stato creato l'euro la Germania ha potuto accumulare surplus enormi a spese dei paesi del sud Europa e della stessa Italia. Precedentemente la situazione era molto diversa: la Germania era il malato d'Europa, e l'Italia aveva invece buone eccedenze commerciali. La situazione europea era relativamente equilibrata. Intendiamoci: è chiaro che la radice dei problemi monetari affonda sempre nell'economia reale, nella distribuzione ineguale dei redditi, nell'insufficienza dei salari e nei gap di produttività e competitività. La crisi dell'euro nasce innanzitutto a causa degli squilibri delle bilance commerciali tra i paesi forti e deboli. I problemi di finanza pubblica sono invece molto minori se non inesistenti. Ma la moneta unica approfondisce ed estende gli squilibri non permettendo aggiustamenti. 

Una volta il meccanismo che riequilibrava almeno temporaneamente i differenziali di competitività era quello automatico della svalutazione/rivalutazione monetaria. Ma da quando esiste l'euro per i paesi deboli è possibile una sola strada: la svalutazione da esterna è diventata interna, cioè non è più svalutazione della moneta nazionale verso quella estera, ma svalutazione del lavoro, del patrimonio pubblico e anche del capitale privato nazionale. A causa della moneta unica, non potendo più svalutare la valuta nazionale, e non potendo (per fortuna) svalutare rapidamente il lavoro – per le ovvie resistenze sindacali, sociali e politiche –, i paesi deboli diventano sempre meno competitivi, aumentano i deficit commerciali e si indebitano sempre di più verso l'estero.

Il meccanismo dell'euro è tanto assurdo quanto infernale. La moneta e il credito defluiscono dai paesi meno competitivi caratterizzati da costanti deficit commerciali e affluiscono nell'altra area forte. Si crea un circolo vizioso, un meccanismo asimmetrico e perverso che spinge verso la meridionalizzazione dei paesi periferici (come denunciano Emiliano Brancaccio, Riccardo Realfonzo e altri valenti economisti [5]), che non raggiunge mai stabili punti di equilibrio ma punta decisamente verso la depressione e infine il probabile baratro. 

L'intera eurozona soffre per una domanda depressa che implica alti livelli di disoccupazione: ma la depressione della domanda è fortissima nella periferia mentre al centro, in Germania e negli altri paesi dell'ex area marco, la situazione è relativamente migliore. I paesi deboli non dispongono più di liquidità perché l'emissione di moneta è monopolio della BCE. Le banche nazionali che hanno in pancia titoli di stato dal valore incerto, rischiano anch'esse il default e sono molto caute a prestare denaro all'economia. E la spesa pubblica è bloccata perché gli avanzi di bilancio pubblico servono a pagare gli interessi sul debito. 

Creare nuova moneta senza passare per le banche e la BCE 

E' necessario quindi emettere nuova moneta, soprattutto nei paesi deboli: il problema però è che la moneta ufficiale, l'euro, può ovviamente essere emessa solo dalla BCE. Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi propongono una soluzione originale ma apparentemente semplice. La nuova moneta deve essere creata “dal nulla” direttamente dallo stato senza passare per le banche, e dovrebbe venire distribuita direttamente e gratis all'economia reale dei paesi che sono soffocati dalla crisi di liquidità, che mancano di salari e di credito, e che soffrono quindi di sottoutilizzazione delle risorse produttive. Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi suggeriscono che lo Stato nazionale emetta dei Certificati di Credito Fiscale, i CCF, riprendendosi almeno una parte del suo potere monetario. 

I CCF sarebbero utilizzabili dopo un certo periodo di tempo (due anni) per pagare ogni tipo di tassa e servizio alla pubblica amministrazione sia nazionale che locale: per esempio, Irpef, Irap, ticket sanitari, contributi pensionistici, multe eccetera. I CCF non sono però titoli di Stato che devono essere venduti al pubblico, non sono obbligazioni che offrono dei rendimenti e che generano debito pubblico: al contrario sono assegnati dallo stato gratuitamente in primo luogo ai lavoratori e alle imprese. Sono nuova moneta creata dalla stato per aumentare la domanda e per ridurre i costi del lavoro e quindi ridare competitività alle aziende. Nel caso italiano gli autori propongono che lo stato distribuisca 200 miliardi di CCF all'anno per due anni, nel 2015-16, da utilizzare per pagare il fisco dopo due anni dalla loro emissione: quindi per esempio, se emessi nel gennaio 2015, i CCF potrebbero essere usati come buono-sconto fiscale solo a partire dal gennaio 2017. In pratica i CCF servono per pagare meno tasse ma possono circolare immediatamente come mezzo di pagamento. 

I CCF sarebbero moneta a tutti gli effetti anche se alla luce dei trattati europei non possono essere emessi sotto forma di moneta di conio o di banconota; possono però legittimamente essere emessi come titoli pubblici e scambiati sul mercato finanziario ed essere utilizzati per i pagamenti elettronici, per esempio mediante carta di credito. La loro emissione è legale e, non essendo titoli di debito ma titoli di sconto fiscale, non sono soggetti a fallimento o a brusche svalutazioni, come i titoli di debito pubblico. I CCF potrebbero finanziare lo sviluppo e allentare la morsa del debito e dei prelievi forzati dalle tasche dei cittadini italiani a favore delle grandi banche e dei fondi speculativi esteri. I CCF possono inoltre essere usati per cominciare a riequilibrare la competitività tra i paesi forti e quelli deboli. 

Solo creando nuova moneta si potranno rilanciare investimenti pubblici e privati, e con questi nuova occupazione e benessere. Le riforme strutturali proposte dalla Troika (per esempio recentemente il Fondo Monetario Internazionale ha proposto di ridurre le pensioni italiane per superare la crisi!!!) sono invece, secondo gli autori del libro (e secondo chi scrive) assolutamente controproducenti perché deprimono il costo del lavoro e le spese pubbliche, e quindi deprimono la domanda interna. 

Austerità significa prolungare, estendere e approfondire la crisi. Le riforme strutturali sono solo fumo negli occhi e ideologia reazionaria, e provocano ancora più disastri e conflitti sociali. Senza domanda interna niente investimenti; e senza investimenti né ripresa né occupazione. Ma senza crescita è anche difficile ripagare i debiti alle grandi banche estere e ai fondi speculativi. Il default e l'uscita dall'euro diventano sempre più probabili. 

Il progetto italiano dei CCF 

I due autori suggeriscono di assegnare a partire dal primo gennaio 2015 circa 70 miliardi di CCF ai lavoratori dipendenti e autonomi; di dare gratuitamente ai datori di lavoro del settore privato 83 miliardi; infine di emettere 47 miliardi di CCF per altre forme di sostegno alla domanda, per esempio per favorire le aree del Sud Italia e i settori industriali con maggiore potenzialità. Il complesso dei CCF ammonterebbe a un totale di 200 miliardi nel 2015 e ad altri 200 miliardi nel 2016 su un totale di prelievo fiscale pari a circa 800 miliardi all'anno. Lo shock sarebbe quindi potente. 

La proposta prevede di assegnare i CCF sulla base di un meccanismo proporzionalmente più favorevole ai livelli di reddito inferiori: per fare un esempio un lavoratore dipendente con un reddito netto di 20.000 euro riceverebbe un'integrazione pari al 20% della sua retribuzione. Per quanto riguarda le imprese, gli 83 miliardi verrebbero assegnati in maniera proporzionale al numero dei dipendenti e ai costi retributivi sopportati dalle aziende, e si confrontano con 466 miliardi di euro del monte totale delle retribuzioni in Italia. Gli 83 miliardi abbatterebbero quindi il costo del lavoro del 18% circa: questa percentuale è all'incirca equivalente al maggiore costo del lavoro che l'economia italiana ha accumulato nei confronti della Germania dall'introduzione dell'euro ad oggi. 

Gli scenari – costruite sulla base delle previsioni governative per il 2014 (che si sono però rivelate sbagliate) e sul moltiplicatore keynesiano rielaborato recentemente da Olivier Blanchard, pari a 1,3 – indicano una forte crescita del Pil, pari a oltre il 7% nel periodo 2015-2017. L'economia potrebbe finalmente tornare a correre: si raggiungerebbe un PIL di 2080 miliardi nel 2017. Grazie all'aumento del PIL, il rapporto deficit pubblico/PIL sarebbe positivo fino al 2016, per poi tornare di nuovo a crescere del 3,2% nel 2017, quando lo Stato dovrà accettare anche i CCF e non più solo gli euro come forma di pagamento fiscale. Nonostante i 200 miliardi di euro di sconto fiscale, il deficit pubblico sarebbe contenuto grazie al forte sviluppo del PIL derivato dallo stimolo monetario dei CCF. Il calo delle entrate pubbliche legato allo sconto fiscale verrebbe compensato dall'aumento dei ricavi derivato dalla crescita del PIL. 

La disoccupazione crollerebbe a poco più del 5% rispetto al 12% attuale. L'inflazione crescerebbe intorno all'1,9% all'anno (quindi sotto il 2%). Infatti l'aumento dei prezzi legato alla forte crescita dell'economia sarebbe contenuto grazie al maggiore utilizzo delle risorse produttive oggi sottoutilizzate. Il commercio estero sarebbe in sostanziale equilibrio grazie all'aumento di competitività da parte delle imprese italiane, e anzi potrebbe segnare un leggero attivo. 

È certo che le previsioni formulate dagli autori siano da rivedere, anche perché si basano, come abbiamo visto, su quelle formulate dal governo nel settembre 2013, le quali si sono rivelate, come tutte le previsioni governative, troppo ottimistiche. Tuttavia è possibile affermare che i CCF potrebbero davvero risollevare l'economia italiana e portarci ad un calo molto significativo della disoccupazione. E potrebbero ridare competitività alla nostra economia. 

Il progetto dei CCF non può però essere scambiato per una bacchetta magica; non fa infatti ripartire lo sviluppo sempre e comunque. È utile solo quando le risorse produttive sono sottoutilizzate, il livello di pressione fiscale è eccessivo ed è necessario espandere la domanda. La proposta dei CCF non può neppure essere confusa con una pura e semplice riduzione delle tasse, come propongono Berlusconi e soci, i quali ormai hanno come unico slogan politico ed elettorale l'eliminazione del peso fiscale (che peraltro è effettivamente troppo elevato e strozza l'economia). Infatti lo sconto fiscale proposto dagli autori non ha effetti immediati ma può essere riscosso solo in tempi posticipati (due anni); inoltre è concesso in forma di moneta e in dosi massicce; e non ha come necessaria contropartita economica, a differenza delle proposte berlusconiane, la riduzione della spesa pubblica, ovvero lo slogan gridato dai conservatori di tutto il mondo. In effetti il progetto dei CCF consente di stabilizzare la spesa pubblica e di riqualificarla nel senso della maggiore efficienza ed equità, senza però tagliare quelle spese che rappresentano conquiste sociali irrinunciabili. 

Moneta come bene comune 

La proposta dei CCF ha un merito eccezionale: quello di prospettarci la possibilità di non rimanere soffocati da una montagna di debiti e da una forzata e suicida politica di austerità come quella prevista dal fiscal compact per ripagare le banche straniere. Se il governo Renzi avesse un po' più di coraggio e di indipendenza dai poteri forti europei e nazionali, e se fosse meno occupato ad attaccare i diritti dei lavoratori, dovrebbe esaminare attentamente il progetto di emettere CCF. Ne trarrebbe merito e vantaggi. 

I governi di destra, quelli tecnici e quelli di centrosinistra, cioè quelli di Monti, Letta e Renzi, hanno finora aumentato le tasse e tagliato le spese per tentare di ripagare il debito pubblico: si tratta di una politica controproducente, iniqua e insostenibile che ci porterà alla rovina. E' una menzogna che gli italiani abbiano vissuto e vivano al di sopra delle loro possibilità a causa di una spesa pubblica impazzita da tagliare a tutti i costi. Dai primi anni '90 lo stato italiano ha quasi sempre incassato più tasse di quanto ha speso per i servizi pubblici, e usa l'avanzo di bilancio per pagare gli interessi sul debito. Viviamo quindi ben al di sotto delle nostre possibilità. Dal 1992 fino ad oggi abbiamo pagato 1400 miliardi di interessi sul debito pubblico, di cui circa 600-700 agli investitori esteri: e questo debito continua a crescere. Di questo passo siamo destinati a fallire. 

La soluzione è una sola: gli Stati, ovviamente sotto il controllo democratico dei parlamenti e della società civile, devono riprendersi almeno parte della la loro sovranità monetaria senza cederla completamente alle banche o ad organismi sovranazionali come la UE e la BCE. La moneta deve ritornare a essere un bene pubblico, un bene comune governato democraticamente. Attualmente quasi tutta la moneta è creata dalle banche private. Il 95% della moneta utilizzata consiste infatti di depositi bancari. Solo il 5% della moneta circola come banconote o monete di conio emesse dalla banca centrale o dagli stati. Al tempo presente non sono quindi né gli stati né le banche centrali a creare moneta, come comunemente si pensa: sono invece le banche private che creano “moneta dal nulla”. Infatti le banche non sono dei puri intermediari finanziari; le banche non prestano i soldi già ricevuti sotto forma di depositi, come viene fatto credere dalla maggioranza dei testi accademici. 

Come spiegava Augusto Graziani[6], e come ha affermato recentemente la Banca d'Inghilterra[7], sono le banche a creare i depositi sotto forma di scrittura elettronica. Sono le banche ad avere l'enorme privilegio di creare denaro dal nulla sotto forma di credito per il loro profitto privato. Nel capitalismo attuale la moneta è quindi essenzialmente debito verso le banche private. Più moneta circola più le economie sono indebitate. Per questo motivo le economie sono piene di debiti. Ma anche le dinamiche dell'indebitamento sono squilibrate. Quando c'è il boom economico le banche si spingono a concedere troppi prestiti, producono troppa moneta – come la moneta falsa dei derivati – e alimentano euforia, inflazione e bolle; quando c'è la crisi economica, come quella che stiamo vivendo oggi in Europa, le banche ritirano credito e moneta e creano deflazione e recessione. E allora deve intervenire lo stato per “creare dal nulla” la sua moneta. La sovranità monetaria è indispensabile per uscire dalla crisi economica. Ricordiamoci che senza sovranità monetaria non c'è sovranità nazionale, e senza sovranità nazionale non c'è sovranità democratica. Senza moneta comune sono le grandi banche d'affari internazionali e i paesi più forti a dirigere il gioco. 

NOTE
[1] Luciano Gallino, “Se la Ue diventa una dittatura” Micromegaonline, da Repubblica, 23 settembre 2014 
[2] Joseph Stiglitz, “La crisi dell’euro: cause e rimedi” Micromegaonline, da il Manifesto, 26 settembre 2014 
[3] Cattaneo Marco, Zibordi Giovanni “Soluzione per l'euro. 200 miliardi per rimettere in moto l'economia italiana - creare mometa, ridurre le tasse e rilanciare la domanda” con prefazione di Warren Mosler e introduzione di Biagio Bossone, Hoepli, marzo 2014 
[4] Enrico Grazzini “L’Italia può uscire dall’euro? Problemi e difficili soluzioni” Micromegaonline, 17 settembre 2014 
[5] Vedi per esempio “Lettera aperta degli economisti” 15 giugno 2010 
[6] Graziani Augusto “Teoria del circuito monetario” Editore Jaca Book 1996 
[7] Bank of England “Money creation in the modern economy”, di M. McLeay, A. Radia e R. Thomas, Quarterly Bulletin 2014 Q1. Vedi anche: Positive Money:http://www.positivemoney.org; vedi anche Andrea Baranes “Le banche e il potere di creare moneta”, Sbilanciamoci.info, maggio 2014

(30 settembre 2014)

Fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/come-uscire-dalla-crisi-senza-uscire-dalleuro/