di Enrico Grazzini
Come raccogliere l'appello di Luciano Gallino contro la dittatura dell'Unione Europea[1]? Come uscire dalla crisi sfuggendo ai diktat della UE e della BCE che controllano la moneta unica e che soffocano la nostra economia?
Non vi è alcun dubbio che la dittatura della UE si esprima soprattutto a livello economico nella forma di dittatura dell'euro. La moneta unica infatti impedisce i riallineamenti competitivi (cioè le svalutazioni monetarie dei paesi deboli e le rivalutazioni della moneta di quelli forti) e quindi provoca crescenti squilibri commerciali e debiti con l'estero. A causa dell'euro i paesi creditori, come la Germania e i paesi dell'area del marco (Olanda, Austria, Finlandia, ecc), possono dettare legge e strangolare economicamente i paesi debitori, i cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) a cui bisogna aggiungere la Francia.
Il drammatico problema politico della dittatura della UE nasce quindi soprattutto (diciamo per l'80%?) dal colossale problema dell'euro che genera squilibri delle bilance dei pagamenti e debiti crescenti. Con l'euro il sogno europeo è diventato un incubo. L'Unione Europea sembra essersi trasformata in un esattore di debiti che opera per conto di un gigantesco usuraio formato dal blocco delle maggiori banche tedesche, francesi e angloamericane. La UE ha anche costruito una Triplice Alleanza con la BCE e il Fondo Monetario Internazionale per riscuotere i debiti, imponendo ai paesi europei più deboli una cieca austerità, tagli selvaggi al costo del lavoro e al welfare. Le politiche della UE e della Troika distruggono occupazione e risorse produttive, e svuotano, come sottolinea Gallino, la democrazia e le sovranità nazionali.
La UE, in quanto istituzione intergovernativa, è sempre stata in “deficit di democrazia”. Ma oggi è diventata una sorta di dittatura a causa dell'euro, del debito e dell'austerità. Per uscire dalla crisi Joseph Stiglitz e molti altri economisti suggeriscono di rinsaldare l'unità europea mutualizzando almeno parzialmente i debiti, creando gli eurobond, sviluppando un fondo comune per i fallimenti bancari, rilanciando gli investimenti, ecc, ecc[2]. Tutte ricette in teoria giuste ... che però sembrano concretamente impraticabili!
Purtroppo è ormai assodato che queste misure di rilancio dell'economia europea (del resto già proposte da anni, dall'inizio della crisi) sono impossibili da realizzare per l'opposizione intransigente della Germania e degli altri paesi del nord Europa che non pagheranno mai un solo euro di debito degli altri paesi europei, a costo di uscire dalla UE e di farla fallire. I trattati che fondano la UE e l'euro (e che possono essere modificati solo all'unanimità dai 28 paesi, o 18 per l'euro, che li hanno sottoscritti) sono vincolanti e obbligano i governi nazionali a soffocare la loro economia. Da qui anche la politica di tagli e di distruzione dello Statuto dei Lavoratori da parte del segretario del PD e capo del governo Matteo Renzi.
Come si fa dunque a uscire dalla trappola del debito se l'Europa è bloccata e se i paesi deboli non hanno più sovranità monetaria e il debito nazionale è espresso in quella valuta straniera chiamata euro? Bisogna ripartire dal livello nazionale e ripristinare un minimo di sovranità. Le analisi e le proposte avanzate nel libro “Soluzione per l'euro. 200 Miliardi per rimettere in moto l'economia Italiana – Creare moneta, ridurre le tasse e rilanciare la domanda” scritto da Marco Cattaneo e da Giovanni Zibordi sono probabilmente le più approfondite ed efficaci finora suggerite per rimettere in moto la disastrata economia italiana [3]. Cattaneo e Zibordi suggeriscono una politica monetaria che è ad un tempo rivoluzionaria e praticabile, originale ma anche relativamente facile da realizzare, perfino da parte del governo Renzi! Propongono una salutare scossa monetaria che però non provocherebbe shock politici internazionali – come l'uscita dall'euro – ma che potrebbe risanare l'economia nazionale dei paesi deboli dell'Europa che stanno precipitando nel sottosviluppo.
La proposta dei Certificati di Credito Fiscale
In tutta Europa, e in particolare nei paesi del sud Europa, c'è crisi di domanda e di liquidità. Per uscire dalla trappola della liquidità è necessario creare nuova moneta che arrivi all'economia reale, al mondo del lavoro e delle imprese. Secondo Cattaneo e Zibordi, lo Stato italiano dovrebbe riprendere almeno parte della sua sovranità monetaria confiscata dall'euro grazie ai poteri che gli rimangono nel campo della fiscalità: dovrebbe quindi emettere miliardi di Certificati di Credito Fiscale da far valere dopo un certo periodo di tempo ma con valore immediato come moneta (cioè come mezzo di pagamento).
L'iniezione di liquidità servirebbe a contrastare l'austerità imposta dalla UE e dal sistema bancario. Infatti le banche – che creano il 95% della moneta in circolazione – hanno smesso di fornire liquidità. Solo la BCE cerca di dare ossigeno alla moribonda economia europea per salvare l'euro e sé stessa: ma la BCE distribuisce soldi solo alle banche. Il problema è che le banche trattengono i denari e li investono in titoli finanziari. In questo contesto è lo stato nazionale che nei paesi più deboli, come l'Italia, dovrebbe intervenire emettendo i CCF, cioè una sorta di buoni sconto fiscali ad uso differito.
La nuova moneta creata dallo stato per alleviare il peso fiscale dovrebbe arrivare direttamente e gratuitamente al lavoro e alle aziende senza passare dalle banche. Lo shock monetario creerebbe immediatamente nuova domanda senza provocare nuovi debiti e iper-inflazione perché rilancerebbe la produzione e l'occupazione sfruttando tutte le risorse che sono gravemente sottoutilizzate a causa della politica deflattiva dell'euro; e alla fine anche il debito pubblico diventerebbe sostenibile.
Per l'Italia in particolare Cattaneo e Zibordi propongono una terapia d'urto, ovvero di rilanciare la domanda grazie all'emissione di CCF per 200 miliardi all'anno nel 2015 e nel 2016 in modo che l'economia possa riprendersi dalla crisi verticale in cui è precipitata, pur rimanendo vincolata da un sistema rigido ed iniquo come quello dell'euro. Infatti l'euro è strutturalmente inefficiente e genera inevitabilmente crisi e deflazione: secondo gli autori (e anche per chi scrive) la crisi dell'euro, partita nel 2010, ci sarebbe stata comunque, anche senza l'innesco della crisi dei subprime scoppiata negli USA nel 2008.
Cattaneo e Zibordi, che si ispirano a J. M. Keynes e ai più avanzati studiosi della moneta e della finanza, hanno bene in mente che la moneta unica tra 18 paesi molto diversi tra loro genera intrinsecamente disastri, e che è la causa di gran lunga prevalente del disastro europeo. L'Italia – come gli altri paesi mediterranei – è tragicamente regredita a causa dell'ingresso nell'eurozona, e la crisi rischia di diventare irreversibile. Purtroppo i problemi monetari e finanziari sono spesso stati sottovalutati dalla sinistra, per scarsa competenza specifica o per le illusioni europeiste.
L'euro non è – come ha affermato perfino uno dei più autorevoli maître à penser della sinistra, Fausto Bertinotti – solamente la “cornice” di una politica europea liberista e reazionaria. L'euro è invece la causa primaria della crisi europea e italiana ed è lo strumento di gran lunga principale della dominazione dei paesi forti verso i paesi deboli, del capitale finanziario sul lavoro. La moneta e la finanza non sono sovrastrutture dell'economia reale ma costituiscono il cuore del capitalismo speculativo odierno e della dominazione capitalista sull'economia e la società. La sinistra (ma anche la destra) ha molto da imparare dalle proposte di Cattaneo e Zibordi.
L'euro è il problema: l'attuale crisi monetaria, la crisi dell'euro, va quindi curata come tale, cioè con nuova moneta. Quando la febbre raggiunge i 42 gradi occorre diminuire subito la temperatura senza aspettare di risolvere i malanni che l'hanno provocata. Solo dopo avere abbassato la febbre è possibile cercare di risolvere i “problemi reali”. Attualmente però occorre trovare soluzioni meno dirompenti dell'uscita unilaterale dall'euro. Infatti non è possibile rompere facilmente la gabbia della moneta unica per i duri contraccolpi economici e politici internazionali che la rottura di questa valuta internazionale provocherebbe, e perché l'uscita dall'euro provocherebbe disorientamento e contrasti nell'opinione pubblica. Molti hanno timore di vedere svalutati i loro risparmi ritornando alla lira. Uscire unilateralmente dall'euro non avrebbe comunque automaticamente le stesse conseguenze positive che ebbe nel 1992 l'uscita dell'Italia dal Sistema Monetario Europeo[4].
La soluzione dei CCF progettata da Cattaneo e Zibordi si presenta più morbida ma nello stesso tempo efficace. E sarebbe facilmente accettata dall'opinione pubblica e dalle imprese. Anzi, le imprese e i lavoratori sarebbero molto felici di avere più reddito grazie a strumenti monetari gratuiti di credito fiscale (meno tasse).
Così come per Keynes la crisi decennale nata nel 1929 era soprattutto una crisi monetaria e il meccanismo poteva ripartire se lo stato si faceva carico dell'espansione monetaria grazie agli investimenti pubblici, anche per Cattaneo e Zibordi la crisi va affrontata innanzitutto a partire dalla (mancanza di) moneta, dalla trappola della liquidità, dalla carenza di domanda e di credito per le imprese. Per rilanciare l'Europa e i paesi del sud, occorre innanzitutto creare nuova moneta e rilanciare la domanda, cioè aumentare innanzitutto i redditi da lavoro. Tutto il contrario di quello che propongono Germania, UE, BCE e Matteo Renzi.
La crisi attuale è soprattutto crisi monetaria: la trappola della liquidità
E' dai tempi di Bismarck che l'Italia ha un gap di competitività verso la Germania e tuttavia la crisi verticale dell'Italia è scoppiata solo a partire dalla crisi dell'euro. In effetti da quando è stato creato l'euro la Germania ha potuto accumulare surplus enormi a spese dei paesi del sud Europa e della stessa Italia. Precedentemente la situazione era molto diversa: la Germania era il malato d'Europa, e l'Italia aveva invece buone eccedenze commerciali. La situazione europea era relativamente equilibrata. Intendiamoci: è chiaro che la radice dei problemi monetari affonda sempre nell'economia reale, nella distribuzione ineguale dei redditi, nell'insufficienza dei salari e nei gap di produttività e competitività. La crisi dell'euro nasce innanzitutto a causa degli squilibri delle bilance commerciali tra i paesi forti e deboli. I problemi di finanza pubblica sono invece molto minori se non inesistenti. Ma la moneta unica approfondisce ed estende gli squilibri non permettendo aggiustamenti.
Una volta il meccanismo che riequilibrava almeno temporaneamente i differenziali di competitività era quello automatico della svalutazione/rivalutazione monetaria. Ma da quando esiste l'euro per i paesi deboli è possibile una sola strada: la svalutazione da esterna è diventata interna, cioè non è più svalutazione della moneta nazionale verso quella estera, ma svalutazione del lavoro, del patrimonio pubblico e anche del capitale privato nazionale. A causa della moneta unica, non potendo più svalutare la valuta nazionale, e non potendo (per fortuna) svalutare rapidamente il lavoro – per le ovvie resistenze sindacali, sociali e politiche –, i paesi deboli diventano sempre meno competitivi, aumentano i deficit commerciali e si indebitano sempre di più verso l'estero.
Il meccanismo dell'euro è tanto assurdo quanto infernale. La moneta e il credito defluiscono dai paesi meno competitivi caratterizzati da costanti deficit commerciali e affluiscono nell'altra area forte. Si crea un circolo vizioso, un meccanismo asimmetrico e perverso che spinge verso la meridionalizzazione dei paesi periferici (come denunciano Emiliano Brancaccio, Riccardo Realfonzo e altri valenti economisti [5]), che non raggiunge mai stabili punti di equilibrio ma punta decisamente verso la depressione e infine il probabile baratro.
L'intera eurozona soffre per una domanda depressa che implica alti livelli di disoccupazione: ma la depressione della domanda è fortissima nella periferia mentre al centro, in Germania e negli altri paesi dell'ex area marco, la situazione è relativamente migliore. I paesi deboli non dispongono più di liquidità perché l'emissione di moneta è monopolio della BCE. Le banche nazionali che hanno in pancia titoli di stato dal valore incerto, rischiano anch'esse il default e sono molto caute a prestare denaro all'economia. E la spesa pubblica è bloccata perché gli avanzi di bilancio pubblico servono a pagare gli interessi sul debito.
Creare nuova moneta senza passare per le banche e la BCE
E' necessario quindi emettere nuova moneta, soprattutto nei paesi deboli: il problema però è che la moneta ufficiale, l'euro, può ovviamente essere emessa solo dalla BCE. Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi propongono una soluzione originale ma apparentemente semplice. La nuova moneta deve essere creata “dal nulla” direttamente dallo stato senza passare per le banche, e dovrebbe venire distribuita direttamente e gratis all'economia reale dei paesi che sono soffocati dalla crisi di liquidità, che mancano di salari e di credito, e che soffrono quindi di sottoutilizzazione delle risorse produttive. Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi suggeriscono che lo Stato nazionale emetta dei Certificati di Credito Fiscale, i CCF, riprendendosi almeno una parte del suo potere monetario.
I CCF sarebbero utilizzabili dopo un certo periodo di tempo (due anni) per pagare ogni tipo di tassa e servizio alla pubblica amministrazione sia nazionale che locale: per esempio, Irpef, Irap, ticket sanitari, contributi pensionistici, multe eccetera. I CCF non sono però titoli di Stato che devono essere venduti al pubblico, non sono obbligazioni che offrono dei rendimenti e che generano debito pubblico: al contrario sono assegnati dallo stato gratuitamente in primo luogo ai lavoratori e alle imprese. Sono nuova moneta creata dalla stato per aumentare la domanda e per ridurre i costi del lavoro e quindi ridare competitività alle aziende. Nel caso italiano gli autori propongono che lo stato distribuisca 200 miliardi di CCF all'anno per due anni, nel 2015-16, da utilizzare per pagare il fisco dopo due anni dalla loro emissione: quindi per esempio, se emessi nel gennaio 2015, i CCF potrebbero essere usati come buono-sconto fiscale solo a partire dal gennaio 2017. In pratica i CCF servono per pagare meno tasse ma possono circolare immediatamente come mezzo di pagamento.
I CCF sarebbero moneta a tutti gli effetti anche se alla luce dei trattati europei non possono essere emessi sotto forma di moneta di conio o di banconota; possono però legittimamente essere emessi come titoli pubblici e scambiati sul mercato finanziario ed essere utilizzati per i pagamenti elettronici, per esempio mediante carta di credito. La loro emissione è legale e, non essendo titoli di debito ma titoli di sconto fiscale, non sono soggetti a fallimento o a brusche svalutazioni, come i titoli di debito pubblico. I CCF potrebbero finanziare lo sviluppo e allentare la morsa del debito e dei prelievi forzati dalle tasche dei cittadini italiani a favore delle grandi banche e dei fondi speculativi esteri. I CCF possono inoltre essere usati per cominciare a riequilibrare la competitività tra i paesi forti e quelli deboli.
Solo creando nuova moneta si potranno rilanciare investimenti pubblici e privati, e con questi nuova occupazione e benessere. Le riforme strutturali proposte dalla Troika (per esempio recentemente il Fondo Monetario Internazionale ha proposto di ridurre le pensioni italiane per superare la crisi!!!) sono invece, secondo gli autori del libro (e secondo chi scrive) assolutamente controproducenti perché deprimono il costo del lavoro e le spese pubbliche, e quindi deprimono la domanda interna.
Austerità significa prolungare, estendere e approfondire la crisi. Le riforme strutturali sono solo fumo negli occhi e ideologia reazionaria, e provocano ancora più disastri e conflitti sociali. Senza domanda interna niente investimenti; e senza investimenti né ripresa né occupazione. Ma senza crescita è anche difficile ripagare i debiti alle grandi banche estere e ai fondi speculativi. Il default e l'uscita dall'euro diventano sempre più probabili.
Il progetto italiano dei CCF
I due autori suggeriscono di assegnare a partire dal primo gennaio 2015 circa 70 miliardi di CCF ai lavoratori dipendenti e autonomi; di dare gratuitamente ai datori di lavoro del settore privato 83 miliardi; infine di emettere 47 miliardi di CCF per altre forme di sostegno alla domanda, per esempio per favorire le aree del Sud Italia e i settori industriali con maggiore potenzialità. Il complesso dei CCF ammonterebbe a un totale di 200 miliardi nel 2015 e ad altri 200 miliardi nel 2016 su un totale di prelievo fiscale pari a circa 800 miliardi all'anno. Lo shock sarebbe quindi potente.
La proposta prevede di assegnare i CCF sulla base di un meccanismo proporzionalmente più favorevole ai livelli di reddito inferiori: per fare un esempio un lavoratore dipendente con un reddito netto di 20.000 euro riceverebbe un'integrazione pari al 20% della sua retribuzione. Per quanto riguarda le imprese, gli 83 miliardi verrebbero assegnati in maniera proporzionale al numero dei dipendenti e ai costi retributivi sopportati dalle aziende, e si confrontano con 466 miliardi di euro del monte totale delle retribuzioni in Italia. Gli 83 miliardi abbatterebbero quindi il costo del lavoro del 18% circa: questa percentuale è all'incirca equivalente al maggiore costo del lavoro che l'economia italiana ha accumulato nei confronti della Germania dall'introduzione dell'euro ad oggi.
Gli scenari – costruite sulla base delle previsioni governative per il 2014 (che si sono però rivelate sbagliate) e sul moltiplicatore keynesiano rielaborato recentemente da Olivier Blanchard, pari a 1,3 – indicano una forte crescita del Pil, pari a oltre il 7% nel periodo 2015-2017. L'economia potrebbe finalmente tornare a correre: si raggiungerebbe un PIL di 2080 miliardi nel 2017. Grazie all'aumento del PIL, il rapporto deficit pubblico/PIL sarebbe positivo fino al 2016, per poi tornare di nuovo a crescere del 3,2% nel 2017, quando lo Stato dovrà accettare anche i CCF e non più solo gli euro come forma di pagamento fiscale. Nonostante i 200 miliardi di euro di sconto fiscale, il deficit pubblico sarebbe contenuto grazie al forte sviluppo del PIL derivato dallo stimolo monetario dei CCF. Il calo delle entrate pubbliche legato allo sconto fiscale verrebbe compensato dall'aumento dei ricavi derivato dalla crescita del PIL.
La disoccupazione crollerebbe a poco più del 5% rispetto al 12% attuale. L'inflazione crescerebbe intorno all'1,9% all'anno (quindi sotto il 2%). Infatti l'aumento dei prezzi legato alla forte crescita dell'economia sarebbe contenuto grazie al maggiore utilizzo delle risorse produttive oggi sottoutilizzate. Il commercio estero sarebbe in sostanziale equilibrio grazie all'aumento di competitività da parte delle imprese italiane, e anzi potrebbe segnare un leggero attivo.
È certo che le previsioni formulate dagli autori siano da rivedere, anche perché si basano, come abbiamo visto, su quelle formulate dal governo nel settembre 2013, le quali si sono rivelate, come tutte le previsioni governative, troppo ottimistiche. Tuttavia è possibile affermare che i CCF potrebbero davvero risollevare l'economia italiana e portarci ad un calo molto significativo della disoccupazione. E potrebbero ridare competitività alla nostra economia.
Il progetto dei CCF non può però essere scambiato per una bacchetta magica; non fa infatti ripartire lo sviluppo sempre e comunque. È utile solo quando le risorse produttive sono sottoutilizzate, il livello di pressione fiscale è eccessivo ed è necessario espandere la domanda. La proposta dei CCF non può neppure essere confusa con una pura e semplice riduzione delle tasse, come propongono Berlusconi e soci, i quali ormai hanno come unico slogan politico ed elettorale l'eliminazione del peso fiscale (che peraltro è effettivamente troppo elevato e strozza l'economia). Infatti lo sconto fiscale proposto dagli autori non ha effetti immediati ma può essere riscosso solo in tempi posticipati (due anni); inoltre è concesso in forma di moneta e in dosi massicce; e non ha come necessaria contropartita economica, a differenza delle proposte berlusconiane, la riduzione della spesa pubblica, ovvero lo slogan gridato dai conservatori di tutto il mondo. In effetti il progetto dei CCF consente di stabilizzare la spesa pubblica e di riqualificarla nel senso della maggiore efficienza ed equità, senza però tagliare quelle spese che rappresentano conquiste sociali irrinunciabili.
Moneta come bene comune
La proposta dei CCF ha un merito eccezionale: quello di prospettarci la possibilità di non rimanere soffocati da una montagna di debiti e da una forzata e suicida politica di austerità come quella prevista dal fiscal compact per ripagare le banche straniere. Se il governo Renzi avesse un po' più di coraggio e di indipendenza dai poteri forti europei e nazionali, e se fosse meno occupato ad attaccare i diritti dei lavoratori, dovrebbe esaminare attentamente il progetto di emettere CCF. Ne trarrebbe merito e vantaggi.
I governi di destra, quelli tecnici e quelli di centrosinistra, cioè quelli di Monti, Letta e Renzi, hanno finora aumentato le tasse e tagliato le spese per tentare di ripagare il debito pubblico: si tratta di una politica controproducente, iniqua e insostenibile che ci porterà alla rovina. E' una menzogna che gli italiani abbiano vissuto e vivano al di sopra delle loro possibilità a causa di una spesa pubblica impazzita da tagliare a tutti i costi. Dai primi anni '90 lo stato italiano ha quasi sempre incassato più tasse di quanto ha speso per i servizi pubblici, e usa l'avanzo di bilancio per pagare gli interessi sul debito. Viviamo quindi ben al di sotto delle nostre possibilità. Dal 1992 fino ad oggi abbiamo pagato 1400 miliardi di interessi sul debito pubblico, di cui circa 600-700 agli investitori esteri: e questo debito continua a crescere. Di questo passo siamo destinati a fallire.
La soluzione è una sola: gli Stati, ovviamente sotto il controllo democratico dei parlamenti e della società civile, devono riprendersi almeno parte della la loro sovranità monetaria senza cederla completamente alle banche o ad organismi sovranazionali come la UE e la BCE. La moneta deve ritornare a essere un bene pubblico, un bene comune governato democraticamente. Attualmente quasi tutta la moneta è creata dalle banche private. Il 95% della moneta utilizzata consiste infatti di depositi bancari. Solo il 5% della moneta circola come banconote o monete di conio emesse dalla banca centrale o dagli stati. Al tempo presente non sono quindi né gli stati né le banche centrali a creare moneta, come comunemente si pensa: sono invece le banche private che creano “moneta dal nulla”. Infatti le banche non sono dei puri intermediari finanziari; le banche non prestano i soldi già ricevuti sotto forma di depositi, come viene fatto credere dalla maggioranza dei testi accademici.
Come spiegava Augusto Graziani[6], e come ha affermato recentemente la Banca d'Inghilterra[7], sono le banche a creare i depositi sotto forma di scrittura elettronica. Sono le banche ad avere l'enorme privilegio di creare denaro dal nulla sotto forma di credito per il loro profitto privato. Nel capitalismo attuale la moneta è quindi essenzialmente debito verso le banche private. Più moneta circola più le economie sono indebitate. Per questo motivo le economie sono piene di debiti. Ma anche le dinamiche dell'indebitamento sono squilibrate. Quando c'è il boom economico le banche si spingono a concedere troppi prestiti, producono troppa moneta – come la moneta falsa dei derivati – e alimentano euforia, inflazione e bolle; quando c'è la crisi economica, come quella che stiamo vivendo oggi in Europa, le banche ritirano credito e moneta e creano deflazione e recessione. E allora deve intervenire lo stato per “creare dal nulla” la sua moneta. La sovranità monetaria è indispensabile per uscire dalla crisi economica. Ricordiamoci che senza sovranità monetaria non c'è sovranità nazionale, e senza sovranità nazionale non c'è sovranità democratica. Senza moneta comune sono le grandi banche d'affari internazionali e i paesi più forti a dirigere il gioco.
NOTE
[1] Luciano Gallino, “Se la Ue diventa una dittatura” Micromegaonline, da Repubblica, 23 settembre 2014
[2] Joseph Stiglitz, “La crisi dell’euro: cause e rimedi” Micromegaonline, da il Manifesto, 26 settembre 2014
[3] Cattaneo Marco, Zibordi Giovanni “Soluzione per l'euro. 200 miliardi per rimettere in moto l'economia italiana - creare mometa, ridurre le tasse e rilanciare la domanda” con prefazione di Warren Mosler e introduzione di Biagio Bossone, Hoepli, marzo 2014
[4] Enrico Grazzini “L’Italia può uscire dall’euro? Problemi e difficili soluzioni” Micromegaonline, 17 settembre 2014
[5] Vedi per esempio “Lettera aperta degli economisti” 15 giugno 2010
[6] Graziani Augusto “Teoria del circuito monetario” Editore Jaca Book 1996
[7] Bank of England “Money creation in the modern economy”, di M. McLeay, A. Radia e R. Thomas, Quarterly Bulletin 2014 Q1. Vedi anche: Positive Money:http://www.positivemoney.org; vedi anche Andrea Baranes “Le banche e il potere di creare moneta”, Sbilanciamoci.info, maggio 2014
(30 settembre 2014)
Fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/come-uscire-dalla-crisi-senza-uscire-dalleuro/
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