Di Daniele Pace
Oggi mi è
capitato di leggere un articolo del Sole 24 ore, in verità del 2012, in cui
l'economista premio Nobel Paul Krugman, rispondendo alla domanda su
cosa è
il denaro posta da Noah Smith, assistente professore di
finanza alla Stony Brook University, afferma
che la moneta oggi è
una convenzione sociale, avvicinandosi nel suo pensiero ad Auriti.
Come
riportato da Il Sole 24 ore, la domanda di Smith era “La
moneta non vale niente di più della carta su cui è stampata?” a
cui Paul Krugman ha
risposto chiaramente “No, è
una convenzione sociale”.
Paul
Krugman non arriva certamente alle definizioni di Auriti ma il suo
approccio sembra essere molto positivo in quanto centra finalmente il
cuore del problema, ovvero il processo di creazione del valore, pur
non nominandolo e non riuscendone a coglierne gli aspetti più
intimi.
Ma
possiamo comunque dire che Krugman è
riuscito in una riflessione che mai ci si aspetterebbe da un
economista, all'inizio di un percorso, che speriamo voglia
proseguire, e che
porta inevitabilmente, una
volta terminato, alla Proprietà Popolare della Moneta e al suo
Valore Indotto.
Certamente
questo non fa di Krugman né un Auritiano, né tanto meno un
economista affidabile da porre a nuovo idolo dei popoli, ma avere il
conforto di alcune riflessioni da parte di un premio Nobel potrà
senz'altro portare il dibattito di tanti cittadini che oggi cercano
di comprendere il problema monetario, verso punti di vista non
esclusivamente economici che possano finalmente aprire uno spiraglio
su un approccio superiore; quell'approccio giuridico che riporterebbe
la società al di sopra dell'economia come logico che sia, essendo
questa un fenomeno sociale e quindi senza comportamenti autonomi ma
da regolare con le leggi convenzionali.
Rimettere
la società, con tutte le sue dottrine, al suo posto naturale, sopra
l'economia, è
il primo passo da compiere se si vuole comprendere il problema.
La
nostra epoca ha invece posto l'economia sopra alla società, quasi in
posizione divina, distorcendo in questo modo ogni tentativo evolutivo
della razza umana, non più homo sapiens ma homo oeconomicus.
Questo
l'articolo di Krugman potrebbe essere illuminante per chi non ha mai
letto Auriti, mentre per i conoscitori del professore di Teramo è
certamente un piccolissimo passo verso lo scoperta dei
campi di giudizio dei valori da parte degli economisti.
Krugman
infatti scrive che: “È
vero che le banconote non possiedono nessun valore intrinseco [...]
se io sono
disposto ad accettarle
[NdA, le banconote]
è solo perché sono
convinto di poterle a mia volta dare a qualcun altro. Ma nulla
impedisce che questo processo di circolazione della moneta vada
avanti all'infinito”.
Krugman sta esattamente
confermando il Valore Indotto del professor Auriti in cui il valore
(potere d'acquisto) nasce all'accettazione perché se ne prevede
l'uso (del valore) in cambio di beni.
Continuando
Krugman afferma che: “È
una convenzione, che funziona fintanto che il futuro è come il
passato”
portando
il discorso monetario in una relazione di fasi nel tempo da
assimilare al diritto di proprietà in quanto convenzione:
“Ovviamente
queste convenzioni possono venir meno, ma lo stesso può succedere
con cose come i diritti di proprietà”,
anche
se questo passaggio
di Krugman non
è
espresso in modo chiaro come in Auriti,
in
cui infatti nella
moneta, essendo convenzione e quindi strumento del diritto perché
legiferata, risiede il diritto di proprietà nel cittadino.
Ma
proseguendo se ne intuisce la piccola intuizione: “Anzi,
si potrebbe sostenere che quasi tutti i beni in un'economia moderna
devono il proprio valore alle convenzioni sociali: le banconote
possono perdere il loro valore, ma lo stesso può succedere a ogni
tipo di titolo e contratto cartaceo, che vale qualcosa, in
definitiva, solo perché la legge dice che è così”,
anche
se la formazione economica di Krugman in questo passaggio riferito
chiaramente alla moneta moderna e all'economia porta ad un'inversione
del ruolo della giurisprudenza che dovrebbe regolare i comportamenti
sociali già esistenti e non determinarli, tanto più che egli stesso
definisce la moneta come convenzione sociale.
Questa
inversione infatti ha permesso alle élite dominanti di imporre la
moneta privata delle banche invece di regolare un comportamento
sociale, quello dell'uso dello strumento monetario, ma anche del
baratto nei primi scambi commerciali, che aveva in passato
determinato la neutralità del mezzo di scambio come nel caso della
moneta di bronzo romana.
In
particolare però dobbiamo precisare quello che Krugman non ha colto
nel passaggio “le
banconote possono perdere il loro valore”,
in
quanto la “perdita di valore” della moneta è
esclusivamente nel simbolo ma non nel valore dello strumento
monetario. Una moneta per legge potrebbe certamente andare fuori
corso e perdere di valore in quanto simbolo rappresentativo di una
determinata valuta, come è
accaduto in passato per tutte le monete; ma il valore monetario, come
strumento della convenzione sociale, non perde mai di valore ma
cambia solo simbolo rappresentativo. La moneta non solo non
perderebbe
mai di
valore,
come
dire che se ne perderebbe l'idea stessa di convenzione
sociale, ma
proprio questa sua natura la rende non privatizzabile come invece
accade oggi con la moneta moderna.
Anche
sul ruolo delle tasse
Krugman cade
nell'interpretazione sbagliata. Ricordando
che egli stesso definisce
la moneta come convenzione sociale, possiamo richiamare quanto
giustamente affermato da Davide Storelli nella 9apuntata della sua rubrica “Il valore del denaro”, ovvero
che i
cittadini non accettano moneta per pagare le tasse, ma per scambiare
beni di cui hanno bisogno.
Le
tasse inoltre avevano una giustificazione quando la moneta era di
metallo prezioso, raro e da reperire in natura, da rifondere e
ridistribuire, ma non oggi con la moneta Fiat / convenzione sociale,
illimitata e a costo zero.
Nel
proseguire il confronto tra moneta e un qualsiasi bene economico che
crea una bolla speculativa (confronto utilizzato per trovare una
spiegazione tra moneta e beni economici) Krugman fa un'affermazione
molto importante: “Una
volta che ci si rende conto che una convenzione sociale non è
assolutamente la stessa cosa di una bolla, molte convinzioni errate
analoghe vengono smontate.”
Ovvero
una volta che ci si rende conto che la convenzione sociale della
moneta non è
una merce, crollano molti dei dogmi economici, ma soprattutto si
spostano gli studi monetari dal campo economico alla dottrina sociale
e giuridica.
Infine
“Ultima
considerazione: l'idea che il valore di una moneta debba basarsi su
un "fondamentale", anche se è un caposaldo delle teorie
economiche di destra, ha forti somiglianze con la teoria del
valore-lavoro di Marx. In entrambi i casi non si tiene conto del
fatto che il valore è una qualità emergente, non un'essenza: la
moneta possiede un valore di mercato basato sul ruolo che ha nella
nostra economia. Punto e basta”.
In
questa frase possiamo rintracciare un'altra affermazione molto
importante, ovvero che la moneta non ha un valore intrinseco
(essenza), ma un “valore
emergente”
nasce da un'esigenza sociale di scambi commerciali.
Un
“valore
emergente”
che altro non è
che il valore indotto e il potere d'acquisto dell'alternanza di fasi
di tempo, indicati come circolazione monetaria.
Anche
se Krugman si ferma a questa definizione, con la separazione di
Auriti tra simbolo e valore certamente questa frase è una traccia
importante a conferma del lavoro del professore nel suo processo di
creazione del valore come attività mentale spirituale.
In
conclusione l'articolo di Krugman non ha certamente nessun aspetto
innovativo se non quello di vedere un premio Nobel dell'economia
ortodossa accennare ad
un diverso approccio a problema, l'unico in grado di portare una
soluzione definitiva alla sofferenza dei popoli.
Passare
dalla moneta merce o la moneta-strumento finanziario alla convenzione
sociale sembra già un passo da gigante per un economista ortodosso e
potrebbe indicare la via a molti cittadini impegnati nella
comprensione.
Nessun commento:
Posta un commento