venerdì 30 dicembre 2016

Il mito 1975-81: TdS e Bankitalia, non fu "finto debito"


La Banca Centrale era obbligata ad acquistare i titoli italiani sul mercato primario, ma chiaramente ha rivenduto tutto sul mercato secondario, e lo Stato ha pagato il suo debito agli investitori. Smentito il mito che vuole Bankitalia detenere i titoli italiani senza rimborso, creando in questo modo un “finto debito”

Di Daniele Pace

In questi anni di crisi, molti economisti contro l'euro, e tanti cittadini in cerca di verità, hanno a lungo parlato del divorzio tra il Tesoro e Banca d'Italia, e in particolare dell'obbligo, da parte della banca centrale italiana, di acquistare i titoli sul mercato primario, finanziando gratuitamente così il debito pubblico dello stato. Un mito che non regge alle meccaniche di mercato e monetarie, e agli stessi dati economici forniti dagli organi ufficiali.

La storia dei titoli di stato acquistati da Bankitalia


La storia è piuttosto nota solo per una parte, quella cara ai cosiddetti sovranisti anti-euro, ma ha anche una seconda parte, che smentisce la “ricetta” del “finto debito” per risolvere la crisi del debito sovrano.
Con la riforma del mercato dei BOT del 1975, Tesoro e Banca d'Italia siglarono un accordo in cui la Banca Centrale si impegnava ad acquistare i titoli invenduti alle aste pubbliche, sul mercato primario. Fin qui la cronaca è assolutamente corrispondente alla realtà, ma la mitologia vuole che la banca si tenesse i titoli “in pancia”, senza pretenderne il rimborso e tanto meno gli interessi, creando così un “finto debito” per lo Stato, che si sarebbe finanziato gratuitamente attraverso la propria banca centrale. Ma la realtà dei fatti è che Banca d'Italia non tenne mai i Titoli di Stato “in pancia”, ma li rivendette tutti, e subito, sul mercato secondario ad altri investitori, che chiaramente furono rimborsati dallo Stato alla scadenza, oppure li rimisero sul mercato a loro volta, a seconda delle loro esigenze. Chiaramente, alla scadenza, i titoli dovevano essere rimborsati, e non ci fu nessun “finto debito” non rimborsato alla Banca d'Italia da parte della Repubblica italiana.
Questo risulta chiaramente dai dati forniti dalla Banca Centrale (e dalle logiche dei mercati e regolamenti), e in particolare dal paper intitolato “Monetary policy and fiscal dominance in Italy from the early 1970s to the adoption of the euro”, a cura di Eugenio Gaiotti ed Alessandro Secchi per conto della stessa banca.
Un altro paper che aiuta a far luce su quel periodo, è quello di Franco Passacantando, “La creazione di un assetto istituzionale per la stabilità monetaria: il caso italiano”, in cui l'ex Managing Director del International Institutions & Fora e OECD per Banca d'Italia, avanza anche altre motivazioni alle scelte della banca centrale italiana.

Il paper di Secchi e Gaiotti è abbastanza chiaro sull'argomento, a pagina 13, quando inizia a sviluppare le circostanze che portarono a quel periodo concluso con il divorzio:
“Since 1969, it was decided that the Bank was empowered (not obliged) to subscribe the unsold amounts of securities on the primary market and resell them on the secondary market." [Salvemini, 1989] (Dal 1969, fu deciso che la banca fosse incaricata (non obbligata) di sottoscrivere i titoli invenduti sul mercato primario, per rivenderli sul mercato secondario)

Nelle pagine successive (pag 14 e 15), i due autori precisano anche il periodo a partire dal 1975:
“In 1975, a comprehensive reform of the placement system for Treasury bills was introduced, [...] The reform included a provision whereby the Bank of Italy, which previously had no obligation to intervene on the primary market, would act as a residual buyer at auctions of government securities. […] The control of the monetary base required the Bank’s continuous presence in the form of outright interventions on the secondary market for government securities, with a view to placing on the market the securities that were acquired at auctions. Outright operations in Treasury securities, which were almost non-existent in the 1950s and 1960s, therefore acquired prominence as the main tool of monetary policy to control the monetary base.” (Nel 1975, fu introdotta una riforma esauriente del sistema di collocazione dei titoli del Tesoro […] La riforma includeva la condizione, secondo la quale, la Banca d'Italia, che prima non aveva obblighi di intervenire sul mercato primario, sarebbe stata l'acquirente residuale alle aste dei titoli pubblici. […] Il controllo della base monetaria richiese la continua presenza della banca nella forma di interventi completi ed immediati sul mercato secondario dei titoli governativi, con lo scopo di piazzare sul mercato, i titoli che aveva acquistato alle aste. Le operazioni complete in titoli del Tesoro, che erano quasi inesistenti negli anni 50 e 60, acquisirono il rilievo di principale mezzo di politica monetaria nel controllo della base monetaria)

Infine a pagina 25:
“the Bank of Italy intervened heavily with sales on the secondary market and with refinancing operations (both included in the “policy” channel) to counter the excessive growth in liquidity, fully or partially offsetting monetary base creation by the Treasury. After 1975 outright secondary market operations were used to regulate the monetary base and sterilise the effects of the Treasury channel and were therefore primarily aimed at destroying liquidity.”
(la Banca d'Italia intervenne massicciamente con vendite sul mercato secondario e operazioni di rifinanziamento per rispondere all'eccessiva crescita di liquidità, compensando totalmente o parzialmente la creazione di base monetaria del Tesoro [attraverso il finanziamento del debito, NdA]. Dopo il 1975, operazioni di mercato secondario furono usate per regolare la base monetaria e sterilizzare gli effetti del canale del Tesoro, ed erano per tanto mirate principalmente alla distruzione di liquidità)

Come è chiaro ed evidente, Banca d'Italia acquistava i titoli dal Tesoro, ma li piazzava, immediatamente e completamente (outright), sul mercato secondario, indicando anche le motivazioni che erano alla base anche del dibattito politico-economico di quegli anni. I dati forniti da Banca d'Italia e riassunti nel grafico di pagina 27, mostrano come la banca abbia sempre piazzato subito, e interamente, sul mercato secondario, tutti i titoli acquistati dal Tesoro.





Anche Passacantando, nel suo paper a pagina 40, evidenzia come “Sebbene la Banca si fosse impegnata ad acquistare tutti i titoli invenduti, essa poteva poi rivenderli sul mercato: il grafico 2 mostra una correlazione negativa quasi perfetta tra sottoscrizioni nette della Banca d'Italia e acquisti netti di mercato aperto. […] In periodi di tassi d'interesse in forte crescita la Banca d'Italia subiva perdite di bilancio dovute alla vendita di titoli a prezzi inferiori a quelli di acquisto. Intervenendo sul mercato secondario, le autorità monetarie potevano, in circostanze normali, raggiungere l'obbiettivo di creazione di moneta desiderata [...]”





I motivi della rivendita dei titoli sul mercato secondario


I motivi del collocamento sul mercato secondario dei titoli del Tesoro, acquistati alle aste dalla Banca d'Italia, sono chiari scorrendo i due paper, e possono essere evidenziati anche nelle poche parole riportate sopra.

In primo luogo, la Banca d'Italia prefiggeva come obbiettivo della sua politica monetaria, il controllo dell'inflazione, seguendo la logica bancaria secondo la quale l'inflazione è determinata da un'eccessiva liquidità nel sistema. Per questo, come evidenziano Secchi e Gaiotti a pagina 25 (Dopo il 1975, operazioni di mercato secondario furono usate per regolare la base monetaria e sterilizzare gli effetti del canale del Tesoro, e erano per tanto mirate principalmente alla distruzione di liquidità), la Banca d'Italia, vendendo i titoli sul mercato secondario, poteva ritirare liquidità in circolazione e così sterilizzare gli effetti derivati dall'acquisto dei titoli del Tesoro con nuova moneta, e al contempo avere liquidità per i nuovi acquisti. Questo appare chiaro anche in Passacantando: “Intervenendo sul mercato secondario, le autorità monetarie potevano, in circostanze normali, raggiungere l'obbiettivo di creazione di moneta desiderata”. Chi ha letto il mio libro “Il complotto del fruttivendolo”, sa che non do molto credito alla Teoria Quantitativa della Moneta, ma in questo articolo riporterò solo le motivazioni addotte da Bankitalia, nel dibattito politico-economico dell'epoca, per il divorzio dal Tesoro, e in particolare per la questione della collocazione dei titoli sul mercato secondario, focus di questo scritto, per dimostrare come non vi fu un “finto debito” nel finanziamento allo Stato tra il 1975 e il 1981 (anche se gli acquisti proseguirono per qualche altro anno).

In secondo luogo, leggendo Passacantando, si evidenzia come vi fossero degli squilibri di bilancio per Banca d'Italia, in quanto, in un periodo di bassa richiesta di titoli, come dimostrato nel suo grafico n.2, via Nazionale fosse costretta a delle perdite per il collocamento sul mercato secondario a prezzi inferiori di quelli di acquisto fino al 1981. Per questo motivo, non solo la Banca d'Italia doveva collocare i titoli sul mercato secondario, ma nel caso non fosse riuscita a rivendere quelli in eccesso detenuti nel suo portafoglio (ad eccezione di quelli detenuti per politiche monetarie), sarebbe dovuta essere rimborsata dal Tesoro alla scadenza, interessi compresi. Neanche le banche centrali possono permettersi degli squilibri di bilancio, e non a caso, anche i QE, avvengono sempre a fronte di acquisti di obbligazioni.

Conclusioni


Lo scopo di questo articolo non è quello di parteggiare per una o l'altra parte, ma solo ristabilire la verità su quello che successe in quegli anni per quel che riguarda “il finto debito”, non pagato, che lo Stato avrebbe contratto con la Banca d'Italia. In realtà non vi fu nessun finto debito, ma solo un'inversione di quelli che erano i meccanismi di collocamento dei Titoli di Stato. Se prima del 1969 (in via volontaria) e del 1975 (in via obbligatoria), la Banca Centrale non era ammessa alle aste sul mercato primario (e agiva solo su quello secondario), successivamente, fino al 1981, e anche oltre (in via di nuovo volontaria), la banca fu obbligata a finanziare il debito dello Stato, ma essa rivendeva subito tutti i titoli sul mercato secondario, per motivi di bilancio e politica di controllo dell'inflazione. Il debito era assolutamente reale, in quanto agli investitori del mercato secondario non si poteva certamente negare il rimborso dei titoli (e nemmeno a Banca d'Italia), pena il default. Lo Stato trovò semplicemente una scorciatoia per collocare immediatamente tutti i titoli (a Banca d'Italia) ad un tasso da lui scelto, “scaricando” sulla banca l'onere del collocamento agli investitori secondari a prezzi inferiori per la stessa banca. In questo modo lo Stato aumentava comunque il proprio debito pubblico, pur non curandosene all'epoca, forse seguendo la frase attribuita a Ronald Regan (Il debito pubblico è abbastanza grande da poter badare a se stesso).
Chi mi legge, sa che se i Titoli, ma anche l'intero settore bancario, fossero aboliti, stapperei subito la più costosa bottiglia di Champagne in commercio, e quindi questo articolo non vuole deludere o esaltare nessuno, ma solo sfatare quel mito del “finto debito”, un accadimento mai successo, e che nemmeno potrà succedere, per gli stessi motivi per cui la banca collocò i titoli sul mercato secondario. Anche se non si fosse d'accordo su questi motivi, un cambiamento nell'ideologia dominante in economia al riguardo dell'inflazione e delle meccaniche dei Titoli di Stato, potrebbe cambiare gli eventi.
Dunque la Banca d'Italia non si comportò come mera tipografia di Stato, ma esattamente come qualsiasi altra banca dealer incaricata ed autorizzata ad operare sul mercato primario, con un conseguente aumento del debito pubblico. La Banca d'Italia, anche se si tornasse alla Lira, mai potrebbe comportarsi come tipografia, senza un cambiamento strutturale e legislativo dell'intero sistema monetario, ma a quel punto, tanto varrebbe che fosse abolita e che lo Stato iniziasse (e non tornasse, in quanto non lo ha mai fatto) a stampare/creare elettronicamente la valuta nazionale senza emettere titoli. Una vera rivoluzione monetaria, che abolisca totalmente l'attuale sistema.

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