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martedì 13 marzo 2018

La falsa eguaglianza tra moneta-merce e Fiat System




"Miti dell'inflazione: la falsa eguaglianza tra moneta-merce e Fiat System", quarto capitolo del libro "Il Complotto del Fruttivendolo" di Daniele Pace

Nell'affrontare questo argomento occorre innanzitutto fare un premessa di precisazione sull'attuale concepimento del Fiat System da parte di chi ne detiene il potere: il sistema bancario.
Nonostante il Fiat System sia basato su una struttura fiduciaria dal valore nominale, il sistema bancario continua a pensare, questo tipo di moneta in relazione all'inflazione, come se si trattasse di una moneta merce di stile medioevale, basato sul valore intrinseco, alimentando in questo modo tra gli economisti, la credenza che la moneta possa inflazionarsi in dipendenza della sua quantità. Il valore intrinseco dell'oro dei secoli passati oggi è sostituito dalla fiducia che a detta del governatore Draghi [1] reggerebbe il valore del denaro. In questo specifico la problematica è ancora diversa rispetto a quanto trattato nel capitolo precedente. [2]

Fino a poco tempo fa si poteva leggere sul sito della Banca d'Italia come in passato l'erosione del metallo prezioso nelle monete metalliche al fine di lucro incidesse sull'inflazione, diminuendo il valore di ogni singolo conio. Oggi questa errata interpretazione dell'inflazione dovuta all'erosione del metallo viene sempre meno “pubblicizzata”, tanto da essere sparita dai siti di molti istituti di credito ufficiali.
Questo esempio dell'erosione del metallo in relazione all'inflazione, molto in voga prima della crisi, tendeva certamente ad alimentare la confusione tra il valore di una valuta e l'indice dei prezzi al consumo, e a giustificare l'esistenza di un ente centrale predisposto al controllo ferreo dell'inflazione in stile Deutsche Bundesbank.

In realtà nelle ricostruzioni storiche riportate in numerosi testi, tra cui il mio La Moneta dell'Utopia, si evidenzia come la moneta nel passato fosse stata emessa nel suo valore seguendo due criteri distinti, l'uno che avesse un valore nominale, e l'altro che avesse un valore intrinseco.
La prima moneta era la numisma aristotelica, in cui il valore veniva deciso per legge e reso di molte volte superiore a quello intrinseco, in modo che non fosse il metallo a determinarlo, ma la legge dello stato.
La seconda moneta era invece la moneta-merce largamente usata quando il concetto di numisma fu dimenticato e il valore del conio era stabilito dal peso stesso del metallo. Queste furono le prime monete di concetto orientale, utilizzate in Occidente fino alle varie riforme basate sul concetto aristotelico di misura del valore, mutuato a Roma per lungo tempo ed abbandonato con la caduta dell'Impero. A questo proposito molto si è detto circa la responsabilità che ebbero gli imperatori nel diminuire il contenuto metallico delle loro moneta, ma in realtà, essendo queste di valore stabilito per legge, la diminuzione quantitativa del metallo non aveva nessun impatto sul conio, e tanto più sull'inflazione che non ha legami con la massa monetaria. Il reale problema monetario del tardo impero fu un'autentica rarefazione monetaria e non la diminuzione del metallo contenuto.

Gli economisti oggi non hanno ancora saputo dare una definizione di denaro ma solo stabilirne le caratteristiche. Le definizioni invece sono molto differenti fra loro a seconda della corrente economica di riferimento, seppur l'introduzione dell'euro avrebbe dovuto fornire indicazioni valide per definire la reale natura della moneta. Gli economisti invece sembrano bloccati su concetti che non tengono conto degli aspetti sociali e giuridici che il denaro moderno comporta, aspetti molto ben approfonditi invece dal professor Auriti dell'Università di Teramo.
L'introduzione dell'Euro, per mezzo di una legge, non ha affatto stimolato gli accademici delle facoltà di economia, chiusi nei loro principi economici influenzati dalla letteratura anglosassone che per sua natura non può, nel caso dell'economia, includere concetti sociali e giuridici in questi studi.
Così la comprensione del denaro moderno, quello che gli economisti vorrebbero capace di inflazionarsi con l'aumentare della massa monetaria, è rimasta a concetti pensati durante i regimi di Gold Standard e moneta merce, escludendo quindi la moneta convenzione stabilita per legge, la stessa legge che con un colpo di penna ha visto nascere la moneta unica. La giurisprudenza ha stabilito, ma in questo caso è più appropriato dire imposto, la moneta convenzione Euro.
La domanda da porsi è: può una convenzione inflazionarsi ?
Qual è la differenza tra la moneta numisma dell'antichità, quella aurea dei secoli seguenti, e l'odierna moneta Fiat fiduciaria, e quale la sua relazione con l'inflazione ?

Possiamo dire che la moneta numisma e la moneta Fiat moderna sono create per legge, senza nessuna relazione con il materiale che ne raffigura il simbolo, mentre la moneta-merce aurea aveva un comportamento assolutamente eguale ad una qualsiasi merce con valore fluttuante.
Mentre nella moneta numisma il metallo era solo il supporto per rappresentare il valore, come lo è la carta e il numero digitale del computer nella moderna moneta Fiat, in quella aurea il metallo era il valore intrinseco della moneta. Quindi solo questa può essere considerata come una merce, mentre le altre due sono monete stabilite nel valore dalla legge che crea una convenzione. La convenzione giuridica non può essere soggetta ad inflazione e l'errore fondamentale degli economisti, passati e odierni, è stato quello di definire la moneta come merce, così come oggi continua a discuterne il sistema bancario. Questo sia nel caso dell'inflazione che in quello del prestito ad interessi.
Ma come oramai svelato con l'introduzione del sistema Fiat, e come esposto due millenni fa da Aristotele, la moneta non può essere una merce, ma solo una convenzione da regolare per legge, la nomos aristotelica perfezionata nel pensiero da Giacinto Auriti. [3]
Ecco allora che l'errore fondamentale nell'approccio alla moneta viene ancora oggi perpetrato nell'utilizzare in primo luogo modelli economici pensati durante il Gold Standard, oggi superati da un nuovo modello monetario, e in secondo luogo dal trattare di moneta come se fosse una merce e non una convenzione sociale il cui valore e la cui creazione vengono stabilite per legge.

Il denaro non può essere una merce anche se vi sono delle somiglianze di forma. In quanto alla sostanza, ma in particolare la sua creazione, vi sono meccanismi e processi non solo diversi, ma anche appartenenti a sfere che nulla hanno a che vedere tra loro.
Le somiglianze di forma si trovano nella possibilità di scambio, nella misurazione di un valore e in un valore d'uso, ma la creazione della merce e quella del denaro seguono e nascono in processi, l'uno materiale, l'altro spirituale, tra loro non associabili.
La merce è un bene economico naturale o lavorato, scambiabile con altra merce, che ha necessità di un ciclo economico relazionato ad un tempo ed un lavoro reali di produzione e di un valore d'uso.
Anche i beni naturali hanno bisogno di tempo e di risorse. Il legno ad esempio ha bisogno della crescita dell'albero e dell'assimilazione dei nutrienti, forza lavoro ed energia naturale. Il petrolio di processi chimici e tempi geologicamente ampi. Qualsiasi bene materiale prodotto dall'uomo necessita di un ciclo produttivo egualmente ai cicli naturali della terra.
Il denaro al contrario, è scambiabile con merce e possiede un valore d'uso essendo un mezzo di scambio, ma non ha bisogno di cicli economici che impieghino tempo e lavoro in quanto esso è tempo, spirito e convenzione. Ha valore non come necessità primaria umana e non come espressione del lavoro umano, ma come espressione della convenzione sociale, che non richiede “manodopera” ma regola giuridica. Il denaro non può essere una merce in quanto manca di acquisire il valore nell'uso specifico che caratterizza un bene. Esso ha un potere d'acquisto, che è il suo valore d'uso, nella previsione temporale del suo utilizzo come mezzo di scambio e misura del valore dello scambio. Ma esso è convenzione in quanto non è l'elemento materiale a conferire valore, ma la convenzione sociale, l'accordo tra parti, oggi imposto per legge, che esso abbia quel valore. Per esistere oggi, come lo fu nei tempi della numisma, ha bisogno solo della convenzione sociale, imposta o consensuale. Carta ed inchiostro, quindi spirito e giurisprudenza. Il materiale che rappresenta il valore non ha nessuna importanza, e quindi il ciclo economico da cui deriva, quando sussiste la convenzione, tanto che oggi il denaro è rappresentato per il 90 per cento, da scritture contabili computerizzate immateriali.
Si tratta quindi di un accordo sociale di creazione di un valore nel tempo, stabile e condiviso, che abbia una funzione strumentale, creato dallo spirito umano, dalla mente creativa, per cui nascita è sufficiente la legge. Non vi è un ciclo economico, non vi è materia o lavoro.

La differenza con la merce nel processo di creazione del denaro è evidente. Questo pur avendo un uso utilitaristico nello scambio, non ha il consumo/godimento “classico” vero e proprio della merce. Una convenzione sociale imposta o consensuale, creata dalla mente e/o dalla legge non può inflazionarsi in nessun modo e il suo valore viene stabilito arbitrariamente e non secondo presunte “leggi naturali”.
Infatti il suo comportamento nella circolazione è completamente diverso da qualsiasi altra merce. [4]
L'economia moderna vorrebbe una relazione tra quantità di moneta e inflazione, apparentemente come nel caso di un'erosione del metallo, non a caso facendone prima riferimento anche nel sito della Banca d'Italia. Oggi questo riferimento è scomparso ma ne resta una sorta di traccia quando si tenta di legare la moneta convenzione moderna all'inflazione.
Un biglietto di carta o una scrittura digitale tuttavia non possono diminuire il loro valore essendo questo convenzionalmente scritto. Possono certamente acquistare meno beni rispetto al passato, ma in conseguenza dell'aumento dei prezzi e non alla diminuzione del loro valore, che resta fisso.
Questo valore fisso sarà evidenziato nel proseguo di questo lavoro con la dissertazione sull'equazione di Fisher in cui si vorrebbe dimostrare una relazione tra inflazione e massa monetaria [5]. Per il momento è sufficiente rompere il legame diretto e causale tra l'aumento della massa monetaria e inflazione che l'equazione vorrebbe dimostrare e che la convenzione imposta dallo stato già smentisce essendo essa invariabile.
Il denaro infatti in passato veniva accettato come consuetudine, definita poi come valore giuridico indotto dal professor Auriti [3], che lo stato converte in convenzione per mezzo della legge. Una volta accordato che una singola banconota, ed oggi un numero digitale, ha un determinato valore X, questo non può modificarsi perché la somma delle banconote, o dei numeri digitali, varia. Questa sarà necessariamente la somma dei valori X, che restano costanti in quanto il valore di una banconota, che resta un certificato legale a tutti gli effetti, non è variabile, così come il numero digitale del computer con il quale si eroga il credito bancario, ovvero la promessa a richiesta di liquidità nella stessa specie monetaria da parte della banca.



[1] Archivio della Banca d'Italia, La cultura della stabilità monetaria dall’Unità a oggi. Intervento di Mario Draghi, 4 aprile 2001 (http://www.bancaditalia.it/interventi/integov/2011/draghi-040411/Inaugurazione_Mostra_04_04_2001.pdf )
[2] Inflazione dei prezzi e svalutazione monetaria, pag. 14
[3] Il paese dell'utopia, Giacinto Auriti, PDF gratuito, (http://www.signoraggio.com/auriti/ilpaesedellutopia_auriti.pdf )
[4] Preesistenza di V e T nello scambio: Riserva di Valore e circolazione, pag. 64
[5] TERZA PARTE, pag 41

venerdì 30 dicembre 2016

Il mito 1975-81: TdS e Bankitalia, non fu "finto debito"


La Banca Centrale era obbligata ad acquistare i titoli italiani sul mercato primario, ma chiaramente ha rivenduto tutto sul mercato secondario, e lo Stato ha pagato il suo debito agli investitori. Smentito il mito che vuole Bankitalia detenere i titoli italiani senza rimborso, creando in questo modo un “finto debito”

Di Daniele Pace

In questi anni di crisi, molti economisti contro l'euro, e tanti cittadini in cerca di verità, hanno a lungo parlato del divorzio tra il Tesoro e Banca d'Italia, e in particolare dell'obbligo, da parte della banca centrale italiana, di acquistare i titoli sul mercato primario, finanziando gratuitamente così il debito pubblico dello stato. Un mito che non regge alle meccaniche di mercato e monetarie, e agli stessi dati economici forniti dagli organi ufficiali.

La storia dei titoli di stato acquistati da Bankitalia


La storia è piuttosto nota solo per una parte, quella cara ai cosiddetti sovranisti anti-euro, ma ha anche una seconda parte, che smentisce la “ricetta” del “finto debito” per risolvere la crisi del debito sovrano.
Con la riforma del mercato dei BOT del 1975, Tesoro e Banca d'Italia siglarono un accordo in cui la Banca Centrale si impegnava ad acquistare i titoli invenduti alle aste pubbliche, sul mercato primario. Fin qui la cronaca è assolutamente corrispondente alla realtà, ma la mitologia vuole che la banca si tenesse i titoli “in pancia”, senza pretenderne il rimborso e tanto meno gli interessi, creando così un “finto debito” per lo Stato, che si sarebbe finanziato gratuitamente attraverso la propria banca centrale. Ma la realtà dei fatti è che Banca d'Italia non tenne mai i Titoli di Stato “in pancia”, ma li rivendette tutti, e subito, sul mercato secondario ad altri investitori, che chiaramente furono rimborsati dallo Stato alla scadenza, oppure li rimisero sul mercato a loro volta, a seconda delle loro esigenze. Chiaramente, alla scadenza, i titoli dovevano essere rimborsati, e non ci fu nessun “finto debito” non rimborsato alla Banca d'Italia da parte della Repubblica italiana.
Questo risulta chiaramente dai dati forniti dalla Banca Centrale (e dalle logiche dei mercati e regolamenti), e in particolare dal paper intitolato “Monetary policy and fiscal dominance in Italy from the early 1970s to the adoption of the euro”, a cura di Eugenio Gaiotti ed Alessandro Secchi per conto della stessa banca.
Un altro paper che aiuta a far luce su quel periodo, è quello di Franco Passacantando, “La creazione di un assetto istituzionale per la stabilità monetaria: il caso italiano”, in cui l'ex Managing Director del International Institutions & Fora e OECD per Banca d'Italia, avanza anche altre motivazioni alle scelte della banca centrale italiana.

Il paper di Secchi e Gaiotti è abbastanza chiaro sull'argomento, a pagina 13, quando inizia a sviluppare le circostanze che portarono a quel periodo concluso con il divorzio:
“Since 1969, it was decided that the Bank was empowered (not obliged) to subscribe the unsold amounts of securities on the primary market and resell them on the secondary market." [Salvemini, 1989] (Dal 1969, fu deciso che la banca fosse incaricata (non obbligata) di sottoscrivere i titoli invenduti sul mercato primario, per rivenderli sul mercato secondario)

Nelle pagine successive (pag 14 e 15), i due autori precisano anche il periodo a partire dal 1975:
“In 1975, a comprehensive reform of the placement system for Treasury bills was introduced, [...] The reform included a provision whereby the Bank of Italy, which previously had no obligation to intervene on the primary market, would act as a residual buyer at auctions of government securities. […] The control of the monetary base required the Bank’s continuous presence in the form of outright interventions on the secondary market for government securities, with a view to placing on the market the securities that were acquired at auctions. Outright operations in Treasury securities, which were almost non-existent in the 1950s and 1960s, therefore acquired prominence as the main tool of monetary policy to control the monetary base.” (Nel 1975, fu introdotta una riforma esauriente del sistema di collocazione dei titoli del Tesoro […] La riforma includeva la condizione, secondo la quale, la Banca d'Italia, che prima non aveva obblighi di intervenire sul mercato primario, sarebbe stata l'acquirente residuale alle aste dei titoli pubblici. […] Il controllo della base monetaria richiese la continua presenza della banca nella forma di interventi completi ed immediati sul mercato secondario dei titoli governativi, con lo scopo di piazzare sul mercato, i titoli che aveva acquistato alle aste. Le operazioni complete in titoli del Tesoro, che erano quasi inesistenti negli anni 50 e 60, acquisirono il rilievo di principale mezzo di politica monetaria nel controllo della base monetaria)

Infine a pagina 25:
“the Bank of Italy intervened heavily with sales on the secondary market and with refinancing operations (both included in the “policy” channel) to counter the excessive growth in liquidity, fully or partially offsetting monetary base creation by the Treasury. After 1975 outright secondary market operations were used to regulate the monetary base and sterilise the effects of the Treasury channel and were therefore primarily aimed at destroying liquidity.”
(la Banca d'Italia intervenne massicciamente con vendite sul mercato secondario e operazioni di rifinanziamento per rispondere all'eccessiva crescita di liquidità, compensando totalmente o parzialmente la creazione di base monetaria del Tesoro [attraverso il finanziamento del debito, NdA]. Dopo il 1975, operazioni di mercato secondario furono usate per regolare la base monetaria e sterilizzare gli effetti del canale del Tesoro, ed erano per tanto mirate principalmente alla distruzione di liquidità)

Come è chiaro ed evidente, Banca d'Italia acquistava i titoli dal Tesoro, ma li piazzava, immediatamente e completamente (outright), sul mercato secondario, indicando anche le motivazioni che erano alla base anche del dibattito politico-economico di quegli anni. I dati forniti da Banca d'Italia e riassunti nel grafico di pagina 27, mostrano come la banca abbia sempre piazzato subito, e interamente, sul mercato secondario, tutti i titoli acquistati dal Tesoro.





Anche Passacantando, nel suo paper a pagina 40, evidenzia come “Sebbene la Banca si fosse impegnata ad acquistare tutti i titoli invenduti, essa poteva poi rivenderli sul mercato: il grafico 2 mostra una correlazione negativa quasi perfetta tra sottoscrizioni nette della Banca d'Italia e acquisti netti di mercato aperto. […] In periodi di tassi d'interesse in forte crescita la Banca d'Italia subiva perdite di bilancio dovute alla vendita di titoli a prezzi inferiori a quelli di acquisto. Intervenendo sul mercato secondario, le autorità monetarie potevano, in circostanze normali, raggiungere l'obbiettivo di creazione di moneta desiderata [...]”





I motivi della rivendita dei titoli sul mercato secondario


I motivi del collocamento sul mercato secondario dei titoli del Tesoro, acquistati alle aste dalla Banca d'Italia, sono chiari scorrendo i due paper, e possono essere evidenziati anche nelle poche parole riportate sopra.

In primo luogo, la Banca d'Italia prefiggeva come obbiettivo della sua politica monetaria, il controllo dell'inflazione, seguendo la logica bancaria secondo la quale l'inflazione è determinata da un'eccessiva liquidità nel sistema. Per questo, come evidenziano Secchi e Gaiotti a pagina 25 (Dopo il 1975, operazioni di mercato secondario furono usate per regolare la base monetaria e sterilizzare gli effetti del canale del Tesoro, e erano per tanto mirate principalmente alla distruzione di liquidità), la Banca d'Italia, vendendo i titoli sul mercato secondario, poteva ritirare liquidità in circolazione e così sterilizzare gli effetti derivati dall'acquisto dei titoli del Tesoro con nuova moneta, e al contempo avere liquidità per i nuovi acquisti. Questo appare chiaro anche in Passacantando: “Intervenendo sul mercato secondario, le autorità monetarie potevano, in circostanze normali, raggiungere l'obbiettivo di creazione di moneta desiderata”. Chi ha letto il mio libro “Il complotto del fruttivendolo”, sa che non do molto credito alla Teoria Quantitativa della Moneta, ma in questo articolo riporterò solo le motivazioni addotte da Bankitalia, nel dibattito politico-economico dell'epoca, per il divorzio dal Tesoro, e in particolare per la questione della collocazione dei titoli sul mercato secondario, focus di questo scritto, per dimostrare come non vi fu un “finto debito” nel finanziamento allo Stato tra il 1975 e il 1981 (anche se gli acquisti proseguirono per qualche altro anno).

In secondo luogo, leggendo Passacantando, si evidenzia come vi fossero degli squilibri di bilancio per Banca d'Italia, in quanto, in un periodo di bassa richiesta di titoli, come dimostrato nel suo grafico n.2, via Nazionale fosse costretta a delle perdite per il collocamento sul mercato secondario a prezzi inferiori di quelli di acquisto fino al 1981. Per questo motivo, non solo la Banca d'Italia doveva collocare i titoli sul mercato secondario, ma nel caso non fosse riuscita a rivendere quelli in eccesso detenuti nel suo portafoglio (ad eccezione di quelli detenuti per politiche monetarie), sarebbe dovuta essere rimborsata dal Tesoro alla scadenza, interessi compresi. Neanche le banche centrali possono permettersi degli squilibri di bilancio, e non a caso, anche i QE, avvengono sempre a fronte di acquisti di obbligazioni.

Conclusioni


Lo scopo di questo articolo non è quello di parteggiare per una o l'altra parte, ma solo ristabilire la verità su quello che successe in quegli anni per quel che riguarda “il finto debito”, non pagato, che lo Stato avrebbe contratto con la Banca d'Italia. In realtà non vi fu nessun finto debito, ma solo un'inversione di quelli che erano i meccanismi di collocamento dei Titoli di Stato. Se prima del 1969 (in via volontaria) e del 1975 (in via obbligatoria), la Banca Centrale non era ammessa alle aste sul mercato primario (e agiva solo su quello secondario), successivamente, fino al 1981, e anche oltre (in via di nuovo volontaria), la banca fu obbligata a finanziare il debito dello Stato, ma essa rivendeva subito tutti i titoli sul mercato secondario, per motivi di bilancio e politica di controllo dell'inflazione. Il debito era assolutamente reale, in quanto agli investitori del mercato secondario non si poteva certamente negare il rimborso dei titoli (e nemmeno a Banca d'Italia), pena il default. Lo Stato trovò semplicemente una scorciatoia per collocare immediatamente tutti i titoli (a Banca d'Italia) ad un tasso da lui scelto, “scaricando” sulla banca l'onere del collocamento agli investitori secondari a prezzi inferiori per la stessa banca. In questo modo lo Stato aumentava comunque il proprio debito pubblico, pur non curandosene all'epoca, forse seguendo la frase attribuita a Ronald Regan (Il debito pubblico è abbastanza grande da poter badare a se stesso).
Chi mi legge, sa che se i Titoli, ma anche l'intero settore bancario, fossero aboliti, stapperei subito la più costosa bottiglia di Champagne in commercio, e quindi questo articolo non vuole deludere o esaltare nessuno, ma solo sfatare quel mito del “finto debito”, un accadimento mai successo, e che nemmeno potrà succedere, per gli stessi motivi per cui la banca collocò i titoli sul mercato secondario. Anche se non si fosse d'accordo su questi motivi, un cambiamento nell'ideologia dominante in economia al riguardo dell'inflazione e delle meccaniche dei Titoli di Stato, potrebbe cambiare gli eventi.
Dunque la Banca d'Italia non si comportò come mera tipografia di Stato, ma esattamente come qualsiasi altra banca dealer incaricata ed autorizzata ad operare sul mercato primario, con un conseguente aumento del debito pubblico. La Banca d'Italia, anche se si tornasse alla Lira, mai potrebbe comportarsi come tipografia, senza un cambiamento strutturale e legislativo dell'intero sistema monetario, ma a quel punto, tanto varrebbe che fosse abolita e che lo Stato iniziasse (e non tornasse, in quanto non lo ha mai fatto) a stampare/creare elettronicamente la valuta nazionale senza emettere titoli. Una vera rivoluzione monetaria, che abolisca totalmente l'attuale sistema.

martedì 22 marzo 2016

Contabilità bancaria e creazione monetaria ' Presentazione del libro "IL CONIGLIO NEL CILINDRO" su Salvo5puntozeroTV



Giovedì 24 marzo, alle ore 17, presenterò il mio nuovo libro "Il coniglio nel cilindro", dedicato alla creazione monetaria tramite la contabilità bancaria. Un libro per mettere ordine sull'argomento, un'analisi completa di tutti gli aspetti della creazione di moneta bancaria, da quelli contabili a quelli giuridici, e i singoli movimenti di moneta sul bilancio bancario in modo da ricostruire, con precisione, ogni iscrizione contabile sul bilancio che permette alle banche non solo di creare un loro mezzo di pagamento da utilizzare in economia, ma anche di tenerlo per avvantaggiarsi in situazioni di monopolio.

Il libro riporta i singoli articoli dei Principi Contabili Internazionali con i commenti e le spiegazioni sui loro significati, così come per il codice civile.

Il coniglio nel cilindro, nel titolo, vuole proprio descrivere una sorta di trucco da prestigiatori, con cui il sistema creditizio riesce a produrre un bene dal nulla senza nessun ciclo economico. Il processo di creazione monetaria viene descritto nell'analisi preliminare, in tutti gli elementi, dalla contiguità tra moneta legale e moneta bancaria, ai principi contabili, riportati e commentati in un lungo capitolo, passando per i pagamenti interbancari e le camere di compensazione, dove il trucco del prestigiatore agisce prima di riportare la moneta in bilancio senza distruggerla. Attenzione viene anche riservata alle operazioni “fuori bilancio”, spazio al di fuori delle regola dove transitano volumi monetari molto al di sopra di quelli presenti nei bilanci, e alle riserve passive, dove i proprietari delle banche possono riscuotere i loro dividendi.

Un libro che vuole essere di analisi ma anche di aiuto alle soluzione proposte dai vari movimenti di riforma monetaria.



Ci vediamo giovedì alle 17 sul canale di Salvo Mandarà



Indice

PREFAZIONE
5


PRIMA PARTE
ANALISI PRELIMINARE
7

Introduzione

9
L'esistenza della moneta bancaria e i dati
14
1. Base monetaria e moneta bancaria
21
1.1 La ridefinizione di moneta e gli aggregati monetari
24
1.2 La differenza tra base monetaria e moneta bancaria
26
1.3 La moneta bancaria tra debito a vista e deposito
30
2. Il deposito bancario e il codice civile
33
3. Il bilancio bancario
38
4. Definizioni contabili nei Principi Internazionali
47
4.1 La partita doppia
48
4.2 La revisione e il controllo del bilancio
52
4.3 Le definizioni utili nei principi contabili internazionali
53
4.4 Moneta ed eliminazione contabile. Perché la banca non distrugge il denaro
61
4.5 Definizioni contabili e creazione di moneta scritturale.
Perché la banca può creare moneta
66
4.6 Definizioni contabili. Conclusioni
71
5. La creazione monetaria e il credito
73
5.1 Il moltiplicatore monetario e la rilevazione in bilancio
76
5.2 Le potenzialità del moltiplicatore monetario dei depositi
80
6. I vincoli alla creazione monetaria
85
6.1 La riserva obbligatoria di liquidità (ROB)
86
6.2 Il rischio di liquidità
91
7. I pagamenti interbancari
93
7.1 La nascita della camera di compensazione moderna
97
7.2 Il sistema di compensazione nazionale
101
7.3 TARGET 2
105
7.4 I conti PM e HAM
106
7.5 L'anticipazione infragiornaliera
107
7.6 E-MID
108
7.7 Conclusioni
109

SECONDA PARTE
IL CONIGLIO NEL CILINDRO


111

8. Il coniglio nel cilindro

113
8.1 Una pratica medievale: le fiere e la prima compensazione
114
8.2 Camera di compensazione e bilancio bancario
119
9. Le iscrizioni contabili dalla creazione al rimborso del prestito
128
9.1.1. Il cliente α chiede 100€ in prestito alla banca A
131
9.1.2. Il cliente α paga 100€ ad un fornitore, cliente β
della banca B
132
9.1.3. La compensazione di fine giornata: La banca A
paga 100€ alla banca B
134
9.1.4. La compensazione di fine giornata: La banca B
riceve 100€ dalla banca A
138
9.1.5 Il cliente α restituisce il prestito di 100€ alla banca A in
contanti
141
9.1.6 Il cliente α restituisce il prestito di 100€ alla banca A
tramite conto corrente
143
9.2 La dinamicità dei flussi interbancari nei pagamenti
145
9.2.1 Aggiustamento degli squilibri di bilancio
148
9.2.2 L'equilibrio patrimoniale con il finanziamento del prestito
153
9.2.3 Le operazioni fuori bilancio
154
10. Le Riserve
159
11. Semplificazione schematica
162
12. Tasse, fallimenti e soluzioni
167
12.1 Le banche pagano le tasse?
167
12.2 Le banche possono fallire?
169
12.3 Le soluzioni
170
13. Conclusioni
172

Il libro è disponibile in prevendita. Prenota la tua copia prima degli altri per la pubblicazione ufficiale di mercoledì 30 marzo.

IL CONIGLIO NEL CILINDRO